Cosenza. Scetáteve, guagliune ‘e malavita

Scetáteve, guagliune ‘e malavita che non vuole essere un incoraggiamentoari cristiani ancora, per poco, a piede libero” a resistere e continuare a delinquere per mantenere alto l’onore del clan, nonostante i numerosissimi e oramai scontati pentimenti, ma piuttosto un appello a chi continua a credere in questa grande merdata che è la ‘ndrangheta, ad aprire gli occhi e prendere coscienza del fatto di essere solo “carne da macello”, o meglio “carne da galera” al servizio di guappi i cartuni, confidenti, e futuri pentiti (garantito al limone). È dal processo Garden che va avanti ‘sta storia dei boss che si pentono, e tuttavia c’è chi ancora oggi continua ad andare appriassu a questa munnizza di malandrini a nonna.

Non sono bastati quasi 200 pentiti a far capire ai tanti che nel corso degli ultimi 30 anni hanno deciso di diventare picciotti di questo o quel clan, di aver firmato, accettando la copiata, un bel mandato di cattura a proprio carico (e a discarico di questa onorata società), con le loro stesse mani. Se è vero che chi sceglie a “malavita” mette in conto la seria possibilità di finire in galera, è anche vero che nessuno affiliato si aspetta di finirci perché il 95% dei componenti del suo clan sono confidenti prima e pentiti poi. Tutti coloro i quali decidono di apparanzarsi sperano di fare tanti soldi e di non finire mai in galera, ma questo lieto fine non è stato ancora scritto. Al momento il finale è sempre lo stesso: galera e infamità.

Ecco, se c’è una cosa sicura a Cosenza è che il 95% dei personaggi che si atteggiano a malandrini pesanti sono tali, o meglio, fingono di essere tali, fino a che non finiscono in galera. Una volta vista la cella il Giuda che è sempre stato in loro viene subito fuori. E non serve ricordare il lungo elenco di personaggi che quando erano fuori s’atteggiavano a “Scarface”, perché tutti i cosentini li conoscono. Gli stessi che una volta finiti intra a tagliola basta “nu paccheru ppe i fa cantà, ma pu cci ne minà natri ciantu ppe i fa sta cittu”. Questo oramai è matematico: che in galera a Cosenza ci finiscono e ci restano solo i caggi, abbandonati a se stessi e senza una lira, è verità assoluta.

Come fanno, alla luce di questa verità, tanti guagliuni ad abboccare ancora alle chiacchiere di questi personaggi, resta un mistero. Che non può essere svelato addossando il tutto all’ignoranza – un ci vo’ a laurea ppe capì che alla prima occasione qualcuno ti venderà… finisce sempre così, e non lo diciamo noi, lo dicono i fatti, lo dicono i numeri, lo dicono i verbali, lo dicono gli arresti – e neanche alla sola fascinazione che il “mito del guappo” esercita sull’immaginario di chi pensa che “dal ghetto si esce solo se fai i milioni”. Certo, la condizione, “l’appartenenza” e il contesto sociale, hanno il loro peso in questa scelta di vita estrema, ma non va sottovalutata la forte componente di stupidità che alberga intra a capu di chi fa questa scellerata scelta. Il che potrebbe svelare l’arcano mistero.

Infatti, bisogna essere davvero dei cretini matricolati per continuare a dare retta a chi prima ti sfrutta, magari utilizzando senza nessuno scrupolo qualche tua debolezza (gioco, dipendenze varie, debiti), e poi ti vende in cambio della sua libertà. Risultato: il boss pentito fuori a godersi i tanti soldini accumulati grazie ai caggi che restano in galera costretti a fare “i scupini” per comprarsi le sigarette. Se non hai capito questo, e se non hai ancora capito che l’atteggio di qualche anno a spadaccino al servizio di questo o quel temuto Porcaro del momento, non vale anni e anni di galera, vuol dire che hai davvero bisogno di un bravo medico. Se aru ciucciu gli succede di cadere per due volte consecutive in una buca percorrendo la solita strada, la terza volta, garantito al limone, cambia strada. Se ogni volta che c’è un blitz, spesso frutto di confidenze fatte da picciotti e boss ai poliziotti, i pentiti spuntano cumu i fungi, come si fa a continuare a credere alle promesse di “onore” di questi personaggi e a non cambiare strada, che significa trovarsi un lavoro onesto, così come fa u ciucciu? È cchiù spiartu u ciucciu ca certi spadaccini.

Scetáteve, guagliune ‘e malavita… svegliatevi, non regalate la vostra vita a chi vi fa credere, sfruttando la vostra stupidità, di essere grandi e immortali, quando il solo scopo è quello di utilizzarvi per il lavoro sporco mentre loro incassano sacchi di guagna, per poi lasciarvi a marcire in cella senza soldi e senza futuro. Meglio cambiare vita, meglio alzarsi la mattina e andare a lavorare, piuttosto che fare arricchire infami, confidenti, pisciaturi, e passare i migliori anni della propria vita dietro le sbarre. Miagliu pani e cipuddra ara casa tua, ca pasta e carni intra na cella. E allora “scetáteve, guagliune ‘e malavita, ca chiri ca dicianu i essa guappi, a guapparia nun sannu mancu addui sta di casa”, ma scetatevi pure cosentini: basta tollerare le angherie di questi infami che quando sono fuori minacciano, intimidiscono, forti del branco (di stupidi), salvo poi diventare agnellini quannu trovanu a furma da scarpa loro. Quando si presentano davanti alle vostre attività per chiedervi il pizzo, denunciateli subito, senza timore, che poi è quello che fanno loro quando si pentono e denunciano i loro compari. Se non si fanno scrupoli loro, non ve ne fate neanche voi.

P.S.: avia ragiuni Turboli, che resta l’esempio più calzante dello stupido che finisce in galera senza una lira e pieno di debiti, ma che quando era fuori si atteggiava a malandrino tutto d’un pezzo, anzi di pezzata, quando ha detto: mi sono pentito per ripagarli (riferendosi a Porcaro e Patitucci) con la stessa moneta. Cumu si dicia: fa cumu te statu fattu, ca unnè mai piccatu”.