Oggi la CGIL insieme a un’ampia rete di associazioni laiche e cattoliche riunite nell’Assemblea ‘Insieme per la Costituzione” è in piazza a Roma in difesa del diritto alla salute delle persone e nei luoghi di lavoro e per la difesa e rilancio del Servizio Sanitario Nazionale, pubblico e universale.
Per la tutela del diritto alla Salute, per un Servizio Sanitario Nazionale e un sistema socio sanitario – pubblico, solidale e universale – a cui garantire le necessarie risorse economiche e organizzative ma soprattutto il personale: operatori e professionisti che possano realmente garantire il diritto alla cura di tutte e tutti, con salari adeguati, per contrastare il continuo indebolimento della sanità pubblica, recuperare i divari nell’assistenza effettivamente erogata, a partire da quella territoriale e dalle liste d’attesa, e valorizzare il lavoro di cura; serve, per questo, un piano straordinario pluriennale di assunzioni che vada oltre le stabilizzazioni e il turnover, superi la precarietà della cura e di chi cura; per garantire la salute e la dignità delle persone non autosufficienti; per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro, rilanciando il ruolo dei servizi della prevenzione, ispettivi e di vigilanza. Avere una sanità pubblica vuol dire garantire le cure per tutte e tutti, in tutto il Paese, e fermare la privatizzazione della sanità e della salute.
(di Michele Bocci – repubblica.it) – La sanità italiana vacilla. Le liste di attesa si allungano, il personale sanitario è sempre meno numeroso e tanti lavoratori sono allo stremo, il privato guadagna spazio, i pronto soccorso scoppiano. Il sistema regge (quasi ovunque) quando si tratta di fare interventi di alta specialità ma chi cerca visite o esami, che poi servono anche a intercettare i problemi gravi in tempi utili per la cura, si trova spesso a dover spendere per avere un appuntamento rapidamente. Ci vorrebbero più soldi, un grande investimento su un settore che è sempre stato considerato di punta nel nostro Paese ma che ormai da tempo è sottofinanziato.
Servono più soldi
A chiedere più soldi sono praticamente tutti: i sindacati, le società scientifiche dei professionisti, gli ordini, le Regioni. Anche il ministro alla Salute Orazio Schillaci sa che servirebbero più fondi, in particolare, ha ribadito, per dare una retribuzione migliore ai professionisti, ma al momento ha solo fissato dei tavoli con i rappresentanti dei lavoratori e con le amministrazioni locali per decidere come proseguire. I cordoni della borsa li tiene il Mef.
Sullo sfondo ci sono i soldi del Pnrr, che finanzieranno nuove strutture, le Case e gli ospedali di comunità, che dovrebbero migliorare l’assistenza territoriale, altra spina nel fianco del nostro sistema sanitario. Ma i soldi in arrivo dall’Europa non possono essere investiti per rimpolpare i ranghi di chi assiste gli italiani e per rilanciare anche l’assistenza ospedaliera.
Per il «rilancio del servizio sanitario nazionale, pubblico e universale» si svolge oggi a Roma una manifestazione nazionale organizzata dalla Cgil, alla quale hanno aderito decine associazioni, come Emergency, Acli, Arci, Anpi, Legambiente, Libera e Uisp.
Pochi fondi e in calo. Italia agli ultimi posti
È il problema dei problemi, quello dal quale si generano tutti gli altri. La sanità italiana non ha un finanziamento adeguato. Per capire qual è la situazione bisogna guardare al rapporto tra la spesa sanitaria e il Pil. Ci sono altri Paesi dove il dato è al 10%, mentre in Italia quest’anno è al 6,7% e vale circa 136 miliardi. Ma la prospettiva è quella di un peggioramento, visto che nel 2026, ha detto il Mef, sarà al 6,2%. Negli ultimi anni, a parte quelli della pandemia, tutti i governi hanno mantenuto bassi gli stanziamenti. Ora, con l’inflazione che sale, la situazione è complicatissima. Per la Cgil bisognerebbe arrivare almeno al 7% di rapporto spesa-Pil ma non sono solo i sindacati a lamentarsi. Giovedì tutte le Regioni hanno detto chiaramente al ministro alla Salute Orazio Schillaci che ci vogliono più soldi, anche perché ci sono spese come quelle per il Covid e per le bollette che non sono mai state coperte.
Servono 45mila sanitari, ricerche anche in India
La situazione degli organici negli ospedali è sempre più complicata. Le carenze riguardano sia i medici, in particolare di certe specialità, che gli infermieri, tanto che Schillaci ha ipotizzato di prenderli dall’estero, magari facendo un accordo con l’India. Secondo la federazione degli Ordini degli infermieri sono circa 30 mila i professionisti che mancano nei reparti, in particolare quelli intensivi. Riguardo ai medici, il sindacato degli ospedalieri Anaao, ne mancano 15 mila. C’è un un problema di formazione. Negli anni passati i posti di specializzazione sono stati pochi rispetto ai pensionamenti. Ora le borse sono aumentate e crescerà anche il numero di coloro che entrano alla facoltà di Medicina ma comunque i conti non tornano. I giovani laureati scelgono soprattutto alcune specialità, quelle che permettono di fare attività privata, e lasciano scoperte quelle dove il lavoro è più duro.
Nei pronto soccorso solo ricoveri in barella
I pronto soccorso hanno gravi difficoltà, come sa bene chi è stato costretto ad andarci. Spesso le attese sono lunghissime e chi deve essere ricoverato aspetta anche più di una notte, magari su una barella, di essere trasportato in reparto. I motivi delle lentezze sono vari. Intanto questo è il settore nel quale ci sono più carenze di medici, perché il lavoro è molto faticoso e dà poche soddisfazioni di carriera. Non è un caso che quest’anno siano state assegnate solo metà delle borse di specializzazione in medicina di urgenza. Ma c’è anche un problema con i reparti di degenza, che spesso non hanno posti a disposizione per chi arriva. Del resto in vent’anni in Italia si sono persi circa 60 mila letti. Infine, in un periodo di pesanti liste d’attesa il pronto soccorso è visto da molti come un luogo per avere risposte che il territorio non è in grado di dare. E così il numero delle persone in coda aumenta.
I medici di famiglia: vecchi e senza eredi
I medici di famiglia sono una categoria dall’età media molto alta (uno su tre ha oltre 66 anni), che si avvia quindi a un ricambio generazionale importante. Ci sono però problemi a reclutare giovani, visto che questa è una delle attività meno scelte dai neo laureati. Aumentano così il numero di pazienti in carico a ogni dottore e di conseguenza, anche a causa di una burocrazia sempre più invadente, è spesso difficile ottenere una visita o anche solo un consulto telefonico. I medici generici sono convenzionati con le Asl e tutte le Regioni hanno di nuovo chiesto al governo una riforma che li faccia passare alle dipendenze, per avere un maggiore controllo sulla loro attività anche in vista dell’apertura delle Case di comunità previste dal Pnrr. I sindacati di categoria, salvo rare eccezioni, sono però contrari a questa ipotesi e da anni fanno azione di lobby anche sul parlamento per bloccarla.
Idea Case di comunità ma il personale non c’è
L’assistenza territoriale non la fanno solo i medici di famiglia e in Italia è molto carente. Per i cittadini è difficile, e in certe Regioni impossibile, ottenere dalla Asl, ad esempio, un controllo domiciliare per un anziano che ha problemi cronici o che è da poco stato dimesso dall’ospedale. Mancano infermieri, fisioterapisti e specialisti che vadano a casa ma anche che ricevano in strutture dedicate al di fuori degli ospedali. Per questo nel Pnrr si punta molto sulle Case di comunità, che dovrebbero appunto riunire varie professionalità per dare una risposta completa ai bisogni di pazienti, evitando il ricovero. Il Pnrr però dà soldi per le strutture e non per il personale ed è necessario pensare a una riforma complessiva che coinvolga anche tutti lavoratori sanitari. Un ruolo la potrebbe avere anche la telemedicina, altro settore sul quale si investirà ma che parte da forti limiti strutturali.
Tempi troppo lunghi: c’è chi rinuncia alle cure
Le liste di attesa sono un altro grande nodo della sanità italiana. Dopo il Covid non si è riusciti a recuperare l’attività perduta negli anni della pandemia. C’è stato così un forte incremento della domanda e praticamente non esiste regione dove i cittadini non si trovino davanti tempi lunghissimi per alcune attività specialistiche, cioè visite ed esami. In questo campo e in particolare per esami come tac e risonanze, pesa anche l’inappropriatezza. Si stima che il 40% delle richieste non sia motivata dalle condizioni di salute del cittadino. Dietro a queste prescrizioni c’è spesso la medicina difensiva dei medici. E mentre persone che non hanno bisogno della prestazione occupano posti, coloro per i quali è davvero necessaria rischiano di attendere tempi biblici prima di essere chiamati. Chi ha i soldi va quindi nel privato o in intramoenia. Chi non ne ha aspetta o rinuncia… fino al camposanto.