Un sondaggio di un sito on line di qualche giorno fa indicava il faccendiere massone Tonino Daffinà come migliore candidato del centrodestra per le prossime elezioni amministrative di Vibo Valentia. Tonino Daffinà sbaraglia il campo e vince con 678 voti pari al 30,8%. Vince sull’ avvocato Diego Brancia, che con 555 voti arriva secondo precedendo il professor universitario Giulio Nardo a cui sono andati 517 voti. La sindaca uscente Maria Limardo si piazza in fondo alla graduatoria con 60 voti.
Si sa che simili sondaggi, al di là della volontà degli organizzatori, sono poco attendibili. Però danno solitamente una tendenza o tramite essi si cerca di indirizzare e/o di cogliere le reazioni dell’opinione pubblica su uno o piu’ nominativi. Che il nominativo della sindaca uscente Maria Limardo sia inviso in parte della società civile è un dato acclarato, ma forse si è fatta ancora più nemici nel suo schieramento politico, il centrodestra, a partire da un personaggio da novanta come Vito Pitaro.
Per non parlare di un probabile alleato come l’avvocato Stefano Luciano che continua a mantenere aperti i due forni, da un lato il centrosinistra e dall’altro il centrodestra. Il padre padrone del centrodestra vibonese Giuseppe Mangialavori detto non a caso Peppe ‘ndrina è da tempo che tace.
Certamente la sua immagine a livello nazionale si è offuscata e non di poco dopo la mancata nomina a sottosegretario nel governo Meloni, però rimane l’uomo centrale del centrodestra a Vibo Valentia e in Forza Italia. Giuseppe Mangialavori sa che potrebbe anche imporre la ricandidatura di Maria Limardo, nello stesso tempo sa che sarebbe un azzardo, troppi nemici interni, e soprattutto c’è un’opinione pubblica che nessuno sa come reagirà di fronte alla riproposizione della Limardo.
E’ un azzardo che in caso di vittoria lo rilancerebbe fortemente e in caso di sconfitta sarebbe un durissimo colpo al suo sistema di potere politico. Vale la pena rischiare tutto per la Limardo, che spesso sfugge a logiche di parte? Ecco allora la terza via, la possibilità di trovare una terza figura ben vista nell’opinione pubblica. Tonino Daffinà potrebbe essere una soluzione. Non ha nemici nel centrodestra calabrese, è amico personale del presidente della Regione Roberto Occhiuto fin da quando erano giovani e fessi nel Ccd di Pierferdinando Casini (arrassusia e manculicani), non ha motivi di scontro con Giuseppe Mangialavori. Potrebbe andare bene a tutti. E la “clamorosa” nomina di ieri del prode Daffinà nientepopimenoche a vicecommissario nazionale per la depurazione sembra essere un segnale chiarissimo anche per le elezioni di Vibo.
Certo, la candidatura e poi l’elezione di Daffinà a sindaco di Vibo più che di Mangialavori sarebbe vista come un successo di Roberto Occhiuto. E qui nasce un secondo interrogativo: può uno come Peppe ‘ndrina accettare di ricoprire anche nella sua provincia un ruolo secondario, quasi di comparsa?
Di certo, la clamorosa nomina nazionale di ieri per Daffinà elimina un motivo spinoso che avrebbe consigliato prudenza: l’opinione pubblica nazionale a questo punto dovrebbe solo tacere rispetto a una simile candidatura in una realtà come quella di Vibo Valentia sotto i riflettori continui in questi anni per le indagini condotte da Nicola Gratteri e dalla Dda di Catanzaro… Perché se il governo Meloni ha sdoganato Daffinà, è del tutto evidente che Gratteri quantomeno non si metterà di traverso, visto e considerato che ormai sta facendo le valigie per Napoli.
E poi Tonino Daffinà non è stato mai indagato o rinviato a giudizio e pazienze se il suo nome appare nelle ordinanze della Dda e soprattutto nella testimonianza del collaboratore di giustizia Andrea Mantella nel processo Rinascita Scott, processo che andrà a terminare pochi mesi prima della scadenza amministrativa.
Tutti i leader del centrodestra a partire da Occhiuto e da Mangialavori sapevano bene che il nominativo di Tonino Daffinà sarebbe stato destinato a far discutere l’opinione pubblica nazionale. Ma questa nomina – nazionale – al netto degli strepiti di “invidia” di Schifani, non ha scandalizzato nessuno e quindi ciò significa che si può procedere.
Dell’opinione pubblica locale, infatti, a lor signori, non importa più di tanto, ormai assuefatta a tutto e di più.
Quando si parlò, però, pochi mesi orsono, di Giuseppe Mangialavori come sottosegretario nel governo Meloni, proposto da Forza Italia, sulla stampa nazionale, da Repubblica al Domani, si accesero i riflettori sulle tante intercettazioni in cui si faceva il suo nome.
E nonostante, anche lui, non sia stato mai indagato, è stata la stessa Presidente Meloni a porre un veto sul suo nome. Notizia mai smentita dagli interessati. Roberto Occhiuto allora si è prodigato per il suo fraterno amico Tonino e ha ottenuto il via libera di Fratelli d’Italia e quindi anche di Wanda Ferro per sdoganare Daffinà. Missione compiuta.
E a noi non resta altro da fare che ricordare, per sommi capi, chi è questo faccendiere della massoneria deviata la cui ascesa sembra ormai irresistibile.
Nel processo Rinascita Scott, il pentito Andrea Mantella nel controesame dell’avvpcato Staiano, nell’udienza di maggio 2021, conferma che fu Domenico Scrugli a chiedergli “30mila euro da dare a Tonino Daffinà e tramite un avvocato al giudice, per farmi mandare agli arresti domiciliari, per come poi avvenne. Ma non ho mai detto di aver personalmente corrotto il magistrato”.
L’episodio finisce all’epoca sulla stampa nazionale. Scrive Lucio Musolino su Il Fatto Quotidiano dell’11 febbraio 2020: “… Mantella non badava a spese quando si trattava di uscire dal carcere: “Nel settembre 2006, ho dovuto pagare, dare 30mila euro a Scrugli Francesco (il suo ex braccio destro, ndr) perché io ero in carcere per l’operazione ‘Asterix’”. Questa storia il collaboratore l’ha già raccontata ai pm di Catanzaro e la ripete ai sostituti della Dda di Salerno: “Scrugli va da Daffinà”. Antonino Daffinà è uno dei candidati alle elezioni regionali del 26 gennaio scorso ( n.r l’articolo è di febbraio 2020) nella lista di Forza Italia: “Daffinà commercialista di Vibo anche lui legato a rapporti della massoneria deviata con Pantaleone Mancuso ‘Vetrinetta‘ (boss defunto nel 2015), per dire siccome hanno una parentela tra Antonino Daffinà e il dottore Giancarlo Bianchi”. Anche il magistrato Bianchi, quindi, viene tirato in ballo dal pentito Mantella che però non riporta fatti vissuti personalmente ma riferisce una circostanza che gli è stata raccontata da un altro soggetto… “Io non mi aspettavo neanche questa detenzione… – aggiunge il collaboratore – scendo a colloquio quella mattina, a fare colloquio tranquillamente, i miei familiari hanno detto: ‘Stai uscendo… ti hanno dato gli arresti domiciliari’. Cosa che io neanche sapevo. Una volta fuori, Francesco Scrugli che era il mio braccio destro mi dice: ‘Andrea dobbiamo… mi devi dare 30mila euro perché io li ho dati a Tonino Daffinà per farti ottenere questi arresti domiciliari”.
Naturalmente – e lo ribadiamo – nemmeno Tonino Daffinà è indagato in questa vicenda, tra l’altro ha smentito tutto, anche perché Domenico Scrugli non poteva né confermare né smentire la versione di Mantella essendo stato ucciso precedentemente in un agguato… Sempre Andrea Mantella davanti ai Pm aveva sostenuto tra l’altro, come Daffinà era da ascriversi tra i “massoni vibonesi” che avrebbero avuto rapporti con la ‘ndrangheta. E anche il pentito Virgiglio lo colloca ai vertici della celeberrima loggia coperta e deviata degli “invisibili”. Ci fermiamo a quest’episodio ma ce ne sono ancora altri…
Per dovere di cronaca, riferiamo che alle elezioni regionali del 2020 Tonino Daffinà si candidò con Forza Italia a sostegno di Jole Santelli, pur essendo il più votato a Vibo città non fu eletto al Consiglio Regionale. Nel collegio di Vibo Valentia fu eletto Vito Pitaro, altra figura fortemente discussa.
Ci si chiedeva se il centrodestra potesse reggere una nuova polemica, un fronte nazionale che andrebbe a scavare nella vita di Tonino Daffinà. Oggi con la nomina alla depurazione la risposta è che Daffinà “deve” continuare ad essere premiato nonostante i fatti per lui non finiscano qui e sul suo curriculum pesi (anche!) una condanna come un macigno. Tonino Daffinà è stato commissario dell’ Aterp di Vibo Valentia. All’epoca era in quota UDC, amico anche di Casini. La Corte dei Conti nel 2022 in sede di appello l’ha condannato ad una pena ridotta di euro 70 mila, rispetto ai 150 mila euro di primo grado, per la vicenda dell’acquisto della sede Aterp a Vibo Valentia. Tonino Daffinà aveva preannunciato a suo tempo ricorso in Cassazione di cui non abbiamo avuto più notizie. Anche questo fatto è finito più volte sulle pagine nazionali. Questo è un fatto indiscutibile.
La candidatura a sindaco di un soggetto massone deviato e borderline come Tonino Daffinà in una città come Vibo Valentia, capoluogo di provincia che è stata al centro di tante indagini di Gratteri, avrebbe dovuto far sobbalzare dalla sedia il superprocuratore e invece nessun segnale. Tutto liscio… Insomma, è evidente che qualcuno lassù ha detto si a Tonino il fratello…
Occhiuto sapeva benissimo che non ci trovavamo davanti alla semplice nomina di un assessore o di un Presidente dei revisori dei conti, come è avvenuto ad ottobre 2022, quando Tonino Daffinà è stato nominato presidente dei revisori dei conti del Comune di Vibo Valentia, eletto dal consiglio comunale con ben 21 voti, tra cui anche quelli di alcuni consiglieri di minoranza. E anche allora se ne discusse a livello di opinione pubblica vibonese. Sapeva anche che non eravamo alla nomina di Marina Patrizia Petrolo, segretaria comunale, moglie di Daffinà, che a dicembre 2022 viene nominata dalla Giunta regionale dirigente generale del dipartimento “Organizzazione e Risorse Umane” e che un anno prima era stata nominata vicecapo del Gabinetto del presidente della giunta della Regione Calabria Roberto Occhiuto.
E sapeva anche che non eravamo tantomeno alla sua capacità nel condizionare le scelte degli assessori imponendo prima le dimissioni del vecchio vicesindaco Domenico Primerano e l’imposizione di quella di Pasquale Scalamogna come vicesindaco della città. Tutte vicende che rientravano nella lotta selvaggia e senza quartiere che ha caratterizzato il centrodestra nell’ultima consiliatura.
Ora che il governo Meloni si è esposto in maniera così sfacciata per Daffinà, nessuno potrà dire di avere ancora paura di candidare Tonino il fratello a sindaco di Vibo. E qui ritorna la nostra antica domanda a Nicola Gratteri e al prefetto di Vibo Valentia: a Vibo Valentia ci sono le condizioni per elezioni veramente libere e democratiche? Sembra, con decenza parlando, che né a Gratteri e né al nuovo prefetto gliene freghi più di tanto. Aumm aumm… direbbe Renzo Arbore.










