(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – “C’era anche la claque, uno stuolo di capi di gabinetto schierati in prima fila pronti al battimano (e che nemesi, per Meloni che biasimava gli applausi in conferenza stampa a Mario Draghi)”.
“Repubblica”
Alla Festa del “Fatto”, a proposito della comfort zone (luoghi protetti da qualsivoglia critica, domandine precotte) pretesa dai cosiddetti leader, Lilli Gruber osservava: “Non si capisce di cosa abbiano paura, ma segnalo che cittadini e cittadine non sono scemi e quando ci sono interviste sdraiate e giornalisti appiattiti se ne accorgono”. Il pensiero non poteva non correre a Giorgia Meloni, da aspirante underdog spavalda e perfino spericolata nel voler affrontare le platee meno ben disposte ma, da che siede a Palazzo Chigi, timorosa perfino delle normali conferenze stampa, che infatti diserta regolarmente (a parte l’ultima). Un bisogno di protezione che ci ha mostrato, in quel di Caivano, la piccola folla di militanti di FdI (appositamente convocati) che travestiti da comuni cittadini hanno dato vita a grida di giubilo, “Giorgia Giorgia”, onde silenziare eventuali dissensi.
E, dunque, la domanda non è soltanto a cosa attribuire questa insolita insicurezza pubblica della premier, ma soprattutto: il farsi deporre in questo sarcofago di salivazione giova alla sua popolarità? Sarà un caso, ma da quando lo spazio che le dedicano i tg Rai e Mediaset tocca quozienti nordcoreani i sondaggi cominciano a mostrare un percettibile calo delle intenzioni di voto a Fratelli d’Italia e anche il consenso di Io sono Giorgia non appare così inattaccabile. E chissà se la premier non debba cominciare a temere l’orgia di “brava, bene, bis” a cura dell’accoppiata Sallusti-Sechi (targati Angelucci, editori sanitari saliti a palazzo per deporre personalmente ai piedi della sovrana i loro gioielli). Direttori che, a proposito delle misure contro le baby gang, hanno esordito con il titolo giovane marmotta del Giornale: “Decreto salva ragazzi”. Surclassato, bisogna ammetterlo, da “La mamma di ferro” (“Libero”) che è un po’ Anna Magnani e un po’ Margaret Thatcher. Dal quale traspare la mano sapiente e carezzevole di Mario Sechi che può così dare finalmente libero sfogo alla sua passione per la Mater familiae, repressa finché era costretto a farLe solo da portavoce. Poi, però, la visione dei capi di gabinetto plaudenti mentre Nostra Signora parla ci interroga sul rovescio della medaglia. Non è che quando si tratta dell’esercizio del potere l’adulazione logora chi non ce l’ha?