Il Bari, Vivarini e il Catanzaro: parla Scala, ex diesse dei “galletti”

Il Bari, Vivarini, il Catanzaro… Un incrocio da mille emozioni per Matteo Scala. Il dirigente genovese, attualmente direttore del mercato in uscita del Genoa, è stato uno degli uomini della rinascita biancorossa. Il primo dirigente dei Galletti nell’era De Laurentiis, la persona che ha seguito ogni minimo dettaglio della ripartenza dopo il fallimento: dall’approvvigionamento dei beni di prima necessità alla ricerca dei calciatori deputati a far risalire immediatamente i biancorossi dai dilettanti. La sua avventura in Puglia si è conclusa nell’estate del 2020: nel suo palmares, la promozione in C al primo colpo e la finale playoff per la B persa contro la Reggiana, proprio sotto la gestione di Vincenzo Vivarini: di quel gruppo sono ancora al Bari Valerio Di Cesare e Mattia Maita. La carriera di Scala è poi proseguita tra Napoli (da team manager) e Fermana (da direttore sportivo) prima del ritorno nella sua città natale: con il Genoa nella scorsa stagione ha conquistato la serie A. «Ma il Bari resta un pezzo del mio cuore: soltanto chi ha vissuto una realtà del genere può capire che cosa si provi». Nella settimana che porta al rendez vouz con Vivarini, il manager ligure si apre tra ricordi e attualità.

Matteo Scala, per tanti motivi il confronto tra Bari e Catanzaro proprio non può essere banale.
«È un match “storico”. Perché riporta al nove marzo 2020: con il Bari eravamo in campo in Calabria, mentre il premier Giuseppe Conte emanava il decreto del lockdown totale per l’esplodere della pandemia. Fu una partita surreale in un frangente terribile. Eppure, oggi ricordo quell’esperienza con un affetto speciale».
Che cosa accadde nei mesi successivi?
«Vivemmo il lockdown a Bari, senza sapere se e quando avremmo ripreso a giocare. Fu un periodo che ci legò sul piano umano in modo indelebile. In quella stagione eravamo partiti male, Vivarini arrivò dopo cinque giornate e inanellò una serie utile di 27 turni che si infranse soltanto a Reggio Emilia. Risalimmo fino al secondo posto, avevamo trovato un equilibrio che secondo me ci avrebbe portato alla promozione senza quei quattro mesi di stop. Ancora oggi sono in contatto con il mister ed i ragazzi».
Perché si arrivò a cambiare tutto in vista del torneo successivo?
«Quando subisci un trauma così evidente, hai soltanto due strade: insistere su ciò che hai seminato oppure azzerare tutto. Resto convinto che se fosse rimasto Vivarini e quel gruppo, avremmo dominato il campionato seguente. Si scelse la seconda soluzione, sebbene la società si sobbarcò comunque pesanti investimenti. A giugno il Bari è purtroppo passato da un’esperienza simile, ma condivido la scelta del presidente Luigi De Laurentiis che ha confermato in blocco il direttore sportivo Ciro Polito e il tecnico Michele Mignani: non solo professionisti preparatissimi, ma capaci di assicurare una gestione di altissimo profilo sul piano umano. E nel calcio l’organizzazione del quotidiano conta molto più del mercato o della preparazione di una singola gara».

Eppure, la squadra sembra ancora alla ricerca della sua identità definitiva…
«Non c’è da meravigliarsi: l’organico è stato modificato in larga parte, servirà qualche settimana per inserire al meglio i nuovi. Ma la squadra ha tanti valori: penso ad Acampora, Diaw, Aramu o a giovani come Dorval e soprattutto Nasti che vedo destinato ad una luminosa carriera. Sono convinto che al termine del torneo, i biancorossi saranno nelle primissime posizioni».
Ha citato Aramu: potrà rivelarsi il top player dei Galletti?
«Innanzitutto, sono felice di aver potuto concludere questa operazione che non era semplice e mi ha visto direttamente coinvolto, insieme al direttore del Genoa Ottolino. Ritengo Mattia un fuoriclasse per la B: un calciatore che già in A con il Venezia ha dimostrato le sue qualità. Il Genoa aveva investito con convinzione su di lui, ma ha pagato il cambio di allenatore ed un modulo come il 3-5-2 che lo scorso anno non valorizzava le sue qualità. Ha trascorso l’estate sapendo di dover essere ceduto: pur lavorando con serietà, gli sono mancate un po’ di partite ed intensità. È venuto al Bari con motivazioni incredibili e ha già lavorato con Mignani che ne valorizzerà le caratteristiche. Bisogna dargli soltanto un po’ di tempo, ma dimostrerà il suo valore e potrà diventare un beniamino dei tifosi».
Fu lei a riportare Di Cesare a Bari nell’estate del 2018: avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato una bandiera?
«All’epoca Valerio fu chiaro: non veniva per giocare la serie D, ma per rimanere a lungo. La società ha sempre puntato su una preparazione d’eccellenza: lavorare a ritmi alti gli ha allungato la carriera. Le qualità tecniche, invece, sono note. Non ho dubbi: fin quando terrà la spina collegata, è il migliore difensore della B».

Torniamo a Bari-Catanzaro: che gara si aspetta?
«Un match aperto, tra due formazioni che giocano a calcio. Vivarini si rivela un valore aggiunto quando può lavorare su un gruppo che plasma secondo la sua mentalità. I calabresi potrebbero anche essere la matricola terribile di questo torneo, ma non possiamo farci incantare dai risultati dei primi cinque turni: non posso pensare che Spezia, Sampdoria e Cremonese non si riprenderanno. Il Bari, dal canto suo, ha un potenziale ancora inespresso che verrà fuori».
Quale dedica esprime ai tifosi biancorossi?
«Quando vidi i 20mila al San Nicola in serie D con il Rotonda, ebbi la conferma che questa è una piazza di alta serie A e comprendo l’impazienza di raggiungere l’obiettivo. La famiglia De Laurentiis assicura solidità: una gestione oculata non corrisponde a mancanza di ambizioni. Anzi: parliamo di imprenditori nati per competere. Ora è fondamentale mantenere sostegno ed entusiasmo: il Bari farà sognare anche quest’anno».