Ci sarà un processo, a quasi cinquant’anni dai fatti, per la morte di Cristina Mazzotti, la prima donna a essere rapita dall’Anonima sequestri calabrese nel Nord Italia. Fu portata via la sera della sua festa di maturità, il 1° luglio 1975, lei studentessa 18enne residente a Eupilio, nel Comasco, e uccisa durante la «detenzione» a Castelletto Ticino. La gup di Milano Angela Minerva ha rinviato a giudizio Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Giuseppe Morabito, il boss quasi ottantenne della ‘ndrangheta. Sono accusati di sequestro e omicidio. L’inizio del dibattimento è previsto per il 24 settembre 2024 davanti alla Corte d’Assise di Como.
La richiesta di riscatto
Cristina Mazzotti venne rapita da un commando della ‘ndrangheta, mentre in compagnia di amici stava rientrando nella villa di famiglia a Eupilio. L’indomani al padre Helios, un industriale dei cereali agiato ma non così ricco come la banda lo aveva sopravvalutato, furono chiesti 5 miliardi di lire di riscatto, cifra stratosferica per l’epoca. Dopo un mese il padre riuscì a mettere insieme 1 miliardo e 50 milioni che, come da istruzioni dei rapitori, lasciò in un appartamento di Appiano Gentile a fronte della promessa della liberazione della figlia.
L’omicidio
Ma il 1° settembre, a due mesi dalla sparizione, una telefonata anonima indicò ai carabinieri di scavare in una discarica di Galliate (Novara), dove fu trovato il cadavere. Per il pm Civardi, che ha riaperto il caso (13 persone sono già state condannate in passato), Morabito sarebbe stato l’ideatore e avrebbe fornito anche un’auto che servì da civetta per segnalare l’arrivo della Mini Minor, con cui la vittima stava rincasando, e per «fare da staffetta verso il luogo» della prigionia. Il fratello e la sorella di Cristina Mazzotti sono parti civili.
La nuova indagine
«La ricerca della verità e della giustizia non si prescrivono mai in un Paese civile», il commento dell’avvocato Fabio Repici, che assiste Vittorio, il fratello di Cristina Mazzotti. L’indagine è stata riaperta «48 anni dopo», ricorda il legale, grazie al libro I soldi della P2 scritto dallo stesso Repici assieme ad Antonella Beccaria e Mario Vaudano. Il pm Stefano Civardi ha riavviato le indagini nel 2020 sulla base della documentazione utilizzata per la stesura del libro che gli è stata consegnata da Repici.