(di Silvia Truzzi – ilfattoquotidiano.it) – L’affaire Giambruno si è chiuso nel più classico dei modi: lui, come tutti quelli mollati, va dal parrucchiere per rifarsi il taglio (e il ciuffo), le questioni politiche restano aperte ma si moltiplicano gli attestati di stima da parte dei Berlusconi bros (“Tu mi ami, Pina? Ugo, io ti stimo moltissimo”), la premier rassicura tutti sulla solidità del governo (a cominciare dal Colle più alto) e riceve standing ovation di solidarietà. Si sa però che la vendetta è un piatto che si serve freddo: staremo a vedere. Al di là della pochezza del personaggio – un uomo che si fa forte del potere della compagna, salvo poi umiliarla pubblicamente – quel che rimane è una certezza: il conflitto d’interessi è tutt’altro che morto. Il controllo di emittenti televisive, giornali, banche e assicurazioni da parte di una famiglia che possiede un partito al governo resta un gigantesco problema. Poco importa che Silvio Berlusconi non ci sia più: gli interessi mondani del gruppo sono ben rappresentati da familiari e famigli.
E pure il bunga bunga si sente benissimo, nonostante il Giornale di famiglia – con un certo coraggio – stia portando avanti, dopo la polemica sollevata dalla figlia del giudice Borrelli, una campagna in favore di B. al Famedio di Milano, “per ribadire la grandezza civica e morale di Silvio Berlusconi”. Tornando a noi, la salomonica decisione di Mediaset di ritirare il Giambruno dal video lasciandolo al suo posto di coordinatore del programma conferma che ci sono ancora luoghi di lavoro dove si può dire, senza enormi conseguenze, a una collega cose tipo “se vuoi far parte del nostro gruppo c’è una prova attitudinale, si scopa”.
In molti hanno provato a derubricare la faccenda a uno scherzo, un momento di leggerezza tra colleghi durante una pausa. Così ha fatto Gaia Tortora, vicedirettrice del Tg La7, che ha postato su X, il fu Twitter, questo commento: “Al netto di tutto ora basta. Se andassero in onda anche la metà dei fuorionda dei conduttori, in tv non ci sarebbe più nessuno”. Il che segnala casomai un problema più vasto e dunque più preoccupante. In risposta qualcuno le ha chiesto come avrebbe reagito se fosse stata al posto di una delle colleghe di Giambruno. E lei: “Se si cazzeggia come capita, rispondo a tono. Se poco poco è serio lo asfalto. Fuori o dentro uno studio tv”. Atteggiamento encomiabile e condivisibile, ma il punto è che non si può far base sempre e solo su di sé: un conto è essere una professionista affermata, vicedirettrice di un Tg, un conto è essere una ragazza – magari precaria, come succede spesso nelle redazioni – che ha a che fare con il compagno della premier, un uomo molto potente. Non tutte le donne hanno la stessa sicurezza, la stessa forza, la stessa prontezza di spirito.
Si dice: ci sono gli strumenti giudiziari per farsi valere, li utilizzano moltissime lavoratrici che non finiscono su Striscia la notizia. Vero, ma per non avere paura di farsi valere serve un ambiente non ostile e consapevole. Il caso delle agenzie pubblicitarie sollevato qualche settimana fa da L’espresso spiega bene come in alcuni àmbiti il clima attorno alle donne sia fortemente discriminatorio e molesto: “Votavano la più scopabile e poi venivano a raccontarci chi aveva vinto. Se qualcuna sbagliava dicevano che eravamo frigide e avevamo bisogno di fare più sesso”. Scherzavano, no? Mediaset è pur sempre casa di B. e forse non poteva fare di più, ma almeno un comunicato in cui prendeva le distanze da comportamenti inaccettabili nei confronti delle donne avrebbe dato un piccolo segnale. Non stupiamoci se secondo il report Gender Equality Index 2023 dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige), l’Italia è lo Stato peggiore in Europa: “La segregazione di genere nel mercato del lavoro non si è mossa di un millimetro”.