La questione morale e le classi dirigenti: effetto déjà-vù. Berlusconi sarebbe fiero di voi…

(FLAVIA PERINA – lastampa.it) – Effetto déjà-vù. C’è il sottosegretario indagato per un impiccio di quadri forse rubati che resta al suo posto. La ministra trafitta dal fallimento del gruppo che gestiva, e pure lei resiste. C’è il team di faccendieri in galera per storie di appalti Anas senza che nessuno batta ciglio, neppure il vicepremier quasi-genero di uno di loro. E c’è il primo sì all’abolizione dell’abuso d’ufficio tra gli applausi del centrodestra. Manca solo lui, Silvio Berlusconi, al quale la cancellazione del reato fu espressamente dedicata dal Cdm che la varò in giugno: tutto il resto è «come prima». Gli stessi nomi – Vittorio Sgarbi, Daniela Santanché, Denis Verdini – che ricorrevano nelle cronache dell’età berlusconiana. Gli stessi ragionamenti sui laccioli del codice penale che frenano i tecnici, i sindaci, gli affidamenti e quindi lo sviluppo del Paese, quasi che il Pil italiano fosse incompatibile con il tipo di vigilanza che è normale in tutta Europa.

Tutto uguale, tutto piuttosto sorprendente perché al governo dovrebbe esserci adesso una destra fatta di altra pasta: la destra d’ordine, legalitaria e non ricattabile di Giorgia Meloni, la destra che ha eretto monumenti morali alla magistratura coraggiosa e inflessibile di Paolo Borsellino e che esalta la sua storia di impegno lontana da ogni impiccio economico. L’effetto déjà-vu colpisce soprattutto per questo: la distanza tra l’imprinting culturale e politico che Fratelli d’Italia rivendica e i comportamenti che esprime su vicende affaristiche in cui è evidente la commistione tra ruoli politici e pasticciati tornaconti privati. Forse non è una «questione morale» in senso tecnico – le inchieste sono all’inizio, in qualche caso al di là da venire – ma di sicuro è una questione politica che incide e dovrebbe sollecitare riflessioni. Anche questa ha a che fare con la selezione delle classi dirigenti e con la scarsa sensibilità (per usare un eufemismo) per i ruoli e le attività che una parte dell’inner circle della maggioranza esercita quando esce dal Palazzo.

Nella sua ultima conferenza stampa la premier ha risposto alle domande sul tema accusando la sinistra, e in particolare il Movimento Cinque Stelle, di usare un doppio registro: chiede le dimissioni di tutti ma non ha mai fatto dimettere i suoi (vedi Virginia Raggi) anche se colpiti da avvisi di garanzia. «Stabiliamo le regole di ingaggio», ha detto. Ha ragione, ma quali sono queste nuove regole? Al momento la prassi sembra la solita, pure quella un déjà-vu dell’età berlusconiana: aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso (e intanto mettiamo mano al codice penale cercando di eliminare il rischio degli avvisi di garanzia che fanno titolo).

Il continuismo del nuovo centrodestra rispetto al vecchio sul doppio terreno dei conflitti di interesse e dei reati amministrativi è un dato che andrà decifrato. In parte risponde a esigenze di potere: ogni governo ha la tentazione di mettersi in sicurezza dagli scandali come può. Ma forse è legato a ragionamenti più larghi. Meloni ha ereditato dopo una lunga marcia nel deserto l’enorme bacino elettorale che fu di Silvio Berlusconi, molti spezzoni della sua classe dirigente sul territorio, larghe relazioni con i referenti di quei mondi e con le corporazioni piccole e grandi che li alimentavano. E per quegli ambienti il «libera tutti» sugli incroci tra politica, lobbismo, buoni affari è un sentimento fondativo, cementato da un racconto lungo trent’anni. L’idea della politica che hanno è quella. Fare marcia indietro sembra una pia illusione.

Così aboliremo l’abuso d’ufficio. Forse cancelleremo anche la legge Severino nella parte in cui obbliga alle dimissioni gli amministratori indagati in primo grado (è passato un ordine del giorno della Lega in proposito). Sarà riformulato anche il traffico di influenze, riducendone l’ambito applicativo per limitarlo «a condotte particolarmente gravi». Avremo la riforma di Carlo Nordio, «studiata e calibrata nel tempo con la diretta partecipazione del presidente Berlusconi», come disse il viceministro della Giustizia Paolo Sisto all’atto dell’approvazione del testo in Cdm. E aspetteremo l’esito delle inchieste per sapere qual è il giudizio del governo sugli impicci degli appalti Anas, i traffici in quadri di un sottosegretario alla Cultura, le disavventure aziendali di una ministra. Come «prima», anche se in teoria dovrebbe essere cambiato moltissimo.