di Antonella Policastrese
Dopo circa dieci mesi dalla chiusura della Basilica Cattedrale di Crotone per interventi di adeguamento antisismico, finalmente si lavora “alacremente” per restituire il sacro manufatto al culto e, per la seconda volta nell’arco dei mesi sin qui trascorsi, in Piazza Duomo sono comparsi quei tecnici che con un trapano dalla lunghissima punta fanno dei buchi nell’asfalto infilandoci dentro dei cavi elettrici. Poi li riaggomitolano, li ripongono nel baule di una macchina e se ne vanno. Ciò che resta sono i buchini sulla pavimentazione e con essi il mistero di cosa hanno fatto e hanno scoperto. Pare che si tratti di una operazione preliminare per scoprire cosa c’è sotto terra e non è la prima volta che questa sceneggiata è messa su a Crotone ed è la seconda volta che si registra in Piazza Duomo.
Si tratterebbe delle cosiddette prospezioni geomagnetiche, una tecnica di indagine del sottosuolo per scoprire le proprietà fisiche del terreno su cui giacciono strade e manufatti. I benefici derivanti da queste operazioni son però immediati, ma solo per le casse della municipalità e per chi ha il servizio di carro-attrezzi per la rimozione delle automobili che vengono beccate in sosta lungo il perimetro di intervento dei tecnici. Insieme, vigili urbani e possessori di carro attrezzi, si portano a casa, rispettivamente, 25 euro di multa per divieto di sosta e 120 euro per la rimozione forzata. Fortuna ha voluto che, nel caso di Piazza Duomo, vige il divieto di sosta perpetuo e quindi si è potuto bucherellare ovunque senza arrecare danno ad alcuno, per cui si può dire che è andata bene stavolta. Poco importa che i risultati di queste indagini si conosceranno chissà quando, semmai saranno resi noti, importa di più invece il tempo che si sta facendo trascorrere cincischiando per la riapertura della Basilica Cattedrale di Crotone ben sapendo che, come si dice in dialetto norvegese “all’accurtu è Pasqua”, tradotto significa che le celebrazioni pasquali sono dietro l’angolo e che quelle per la Festa della Madonna di Capocolonna non sono poi così lontane. E la chiesa è ancora chiusa.
Tuttavia emergono dei dati attraverso le informazioni diffuse da alcuni “ruffiani” laici della Curia Arcivescovile, perché quella di suo, sulla faccenda, è “palumma muta”. L’operazione restauro della Cattedrale avrebbe una dotazione finanziaria di tre milioni di euro, attraverso finanziamenti ministeriali e del Pnrr. Allora uno dice: se i soldi per cominciare i lavori ci sono e c’erano già a giugno, magari la volontà di mettervi mano pure, perché non si comincia per non perdere altro tempo? Ed è qui che casca l’asino, una caduta talmente rovinosa che del povero asino non rimane intatta neppure la coda. I quattrini che provengono da quelle fonti finanziarie pubbliche devono fare, per prassi, un lungo e farraginoso cammino prima di arrivare nella disponibilità del destinatario per essere spesi.
Di solito vengono riversati in una specie di filtro che si chiama Invitalia, questo procede con le operazioni di spesa adottando tutte quelle procedure previste in materia di trasparenza ed economicità erogando i corrispettivi, cioè i quattrini, in base ai criteri dettati dal Codice dei contratti pubblici. Si tenga presente che detto codice prevede una soglia di 150 mila euro qualora si volesse procedere con affidamenti diretti di lavori e appalti, il che è una sorta di arma letale per quegli amministratori pubblici che ci tengono a ricevere il panettone a Natale e l’uovo di cioccolato a Pasqua, ma questa è un’altra storia. Comunque sia, per fare tutte queste cose di tempo ne passa parecchio.
Se uno volesse ascoltare le fregnacce dei finanziamenti ottenuti, previsti e disponibili per la realizzazione di opere pubbliche e progetti di riqualificazione nella città di Crotone, direbbe di essere capitato nella Roma imperiale ai tempi di Nerone. Due milioni di euro per Piazza Pitagora, tre milioni per la Cattedrale, sessantuno virgola cinque per il progetto “Antica Kroton”, la rimanenza dei 17 milioni della regalia Eni, insomma, grasso che cola. Invece sembra di essere capitati nel negozio dei cinesi, dove si compra tutto a un “eulo”. Il tempo scorre inesorabile e il taglio di stoffa che serviva per cucire un abito, alla fine non basterà per farne una camicia e neppure a maniche lunghe.
Poi ci sono le variazioni sul tema: quello che doveva essere un teatro da almeno mille posti per contenere, solo parzialmente, i costi di gestione, alla fine diventa un museo. La dotazione finanziaria di 100 milioni di euro, poi diventati 61.7, che dovevano servire a riportare alla luce e riqualificare il quartiere nord della Crotone magno-greca, sono stati stanziati per una serie di interventi in ben altre aree della città e per la realizzazione di altre robe: si va dalle piste ciclabili ai percorsi illustrati. Circa settecentomila euro, di quei 61 milioni, sono destinati a pagare le parcelle dei progettisti, centomila se ne sono già volati via in crapule sociali, bicchierate e manifesti.
Altri denari ancora servono per pagare il direttore del progetto, che proviene da quel carrozzone parassitario chiamato Civita, creato dal vecchio apparato comunista, per gestire le biglietterie di musei e siti di interesse artistico di proprietà statale. In merito a questa “puttanata” nella quale è stato trasformato il progetto “Antica Kroton” Roberto Spadea, colui il quale ha riportato alla luce il Diadema di Hera e fatto riemergere, nel corso di un trentennio, tutti i siti di interesse archeologico oggi conosciuti, così si è espresso in merito al progetto in questione sulla rivista “il Calabrone”: “… il progetto è stato ben finanziato ed è rimasto fermo per più anni, visto e rivisto in riunioni e consigli, divenuto come un serpente che si morde la coda. Da constatare che nelle sue linee guida e nelle scelte conseguenti a queste, il progetto non ha saputo o non ha voluto avvalersi delle precedenti esperienze, frutto di trent’anni di indagini e questo avrebbe evitato perdite di tempo ed errori”. Se piove ti bagni, ma questa pioggia di soldi che si è abbattuta quasi come un “rotalupo” su Crotone, lascia la città all’asciutto e consente a taluni “passerotti” di intingervi il becco per dissetarsi.
L’andazzo è dunque questo, ma nel caso dal quale siamo partiti, la perdurante chiusura della Cattedrale, va detto che addolora vedere i luoghi fisici della fede sbarrati e addirittura
dimenticati, come la chiesa di San Giuseppe, tra le più belle e ricche di manufatti artistici esistenti in Calabria.
Di particolare pregio, nella cappella Gallucci-Zurlo, è custodito un Crocifisso in legno di fattura partenopea, scolpito nel XVIII secolo. L’organo settecentesco, le maioliche sul pavimento, ma tutto è in rovina, avvolto dall’oblio, un’altra orbita vuota sul volto della cristianità crotonese. Se proprio si doveva mettere mano a una chiesa a Crotone, quella doveva essere San Giuseppe. La scelta è ricaduta sulla Cattedrale, però muratori li intorno non se ne vedono, quasi dieci mesi sono passati da quando è stata chiusa al culto e almeno tre volte tanti ne passeranno prima che riapra, almeno si spera. Nessuno dice o può farci niente dinanzi a questa discutibilissima scelta unilaterale, in stile islamico – “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole”– Ma colà non è il paradiso, perché se questo fosse stato, lo sanno tutti che… il paradiso può attendere.