Diario di un giornalista precario. Pantano: “LaC: coscienza, orgoglio e indipendenza calpestati con prove alla mano”

DIARIO DI UN GIORNALISTA PRECARIO: COSCIENZA, ORGOGLIO E INDIPENDENZA CALPESTATI CON PROVE ALLA MANO.’ LA CALABRIA SI INTERROGA SUL TERRORE DELL’INFLUENCER

dalla pagina FB di Agostino Pantano – POST DEL 10 FEBBRAIO 2024

Una buona notizia, una brutta e una bruttissima.
Cominciamo dalla prima.
La società del network LaC, che ha sede a Vibo Valentia, tramite il suo avvocato – che è del Foro di Reggio Calabria – ha fatto avere al mio legale, che è del Foro di Palmi, la busta paga del mese di dicembre, poche ore prima che scadesse il termine che la legge prevede, evitandoci quindi di ricorrere già in questa primissima fase all’Ispettorato del Lavoro, come avevamo ipotizzato.

La brutta notizia è che, non essendo questa l’unica formalità a cui la società editoriale deve ottemperare – per la 13° del 2023 e per quella parte del mese di gennaio in cui io ho lavorato aspettiamo pagamenti e buste, nei termini ancora non scaduti – non posso ancora quantificare con esattezza il Tfr che mi spetta e il pagamento delle ferie non godute.
La notizia bruttissima è che il mio ex datore di lavoro, in quest’ultima missiva tramite l’avvocato, tenta di oscurare definitivamente la clausola di coscienza che mi ha portato a dimettermi per giusta causa: 2 stipendi da pagare e una questione che, fin quando rimane in piedi, tiene aperta la mia rubrica social sulle imposture subite dai giornalisti precari come me.

Per fortuna che gli avvocati non si pagano a numero di parole che scrivono negli atti, ma è certo che l’insistenza con cui si continua a non riconoscere un mio diritto – ad andarmene da una linea editoriale modificata da un editore che ora fa le riunioni di sommario del giornale, da un editore che ora dice ai giornalisti rivolgetevi a me, io sono sempre presente, ma l’importante è sposare la linea editoriale… da un editore che così aggiunge questa nuova ingerenza al suo controllo della chat in cui i giornalisti si scambiano informazioni sulle possibili notizie da dare, danno gli ordini di servizio, socializzano fra loro la scaletta del giorno (almeno fino a quando c’ero io) – diventerà questione che sono costretto a far affrontare da un Tribunale.

Non sarei onesto con voi se facessi discendere il mio abbandono alla sola coscienza, ma certo anche il mio orgoglio – essere preso a pesci in faccia dal maggio 2023 fino al dicembre 2023 – è servito a scuotermi, intuendo che il cambio di atteggiamento nei miei confronti (prima bravo, poi una pezza da piedi… mancini) altro non era che la blindatura, in una ristretta elite giornalistica, della linea editoriale mutata, di cui io non potevo far parte perché avevo disobbedito rifiutando di fare un servizio per come lo voleva l’editore e perché, dopo il rifiuto di un contratto full time (che avevo chiesto offrendomi di lavorare nelle ore in più al sito), avevo trovato un altro contratto part time per attività non concorrenti: anche se in Tribunale non dovessi avere un formale testimone per questi abusi che ho subito, perché non voglio il male dei colleghi e non glielo chiederei mai di venire davanti al giudice, a mio favore, ci saranno altre prove documentate evidenti da esibire al giudice.

E se dovrà quindi essere il Tribunale a giudicare gli effetti prodotti dal combinato disposto della mia coscienza e del mio orgoglio (ma l’orgoglio nel caso del giornalista io lo considero normale riverbero della coscienza, non stupida vana gloria), è il caso che – invece – qui si approfondisca e prosegua il racconto sui pericoli che la libertà di stampa corre se diventa normale che un imprenditore che lavora con concessioni pubbliche e comunali – diventi proprietario e influencer (unico e partecipe) di un produttore di notizie.