Cosenza. Omicidio Ruperti, quando la pezza della procura è peggio del buco della polizia

Se c’è una cosa che sa far bene il pubblico ministero Maria Luigia D’Andrea, altrimenti detta la Enola Holmes (la sorella di Sherlock Holmes) de noantri, è quella di rattoppare le sue tarlate inchieste. In altre parole come mette le pezze lei, nessuno. A volte è costretta a farlo per rimediare ai suoi grossolani errori, altre volte perché a Cosenza non è usanza formulare accuse contro politici, magistrati, imprenditori, colletti bianchi, massoni, professionisti e poliziotti. Praticamente tutte le sue indagini sono piene di pezze.

E non poteva essere altrimenti anche nell’indagine sull’omicidio stradale di Antonio Ruperti (neanche 16 anni) avvenuto il 9 settembre del 2023 in via Falvo del quartiere di Torre Alta di Cosenza alle ore 11,35. La pezza in questione è la perizia, depositata qualche giorno fa, a firma dell’ingegnere Alessandro Lima, esperto in infortunistica stradale di Avellino nominato dalla procura di Cosenza, che ricostruisce la dinamica dello scontro tra la moto, una Aprilia Pegaso, guidata da Antonio Ruperti, e un’autocivetta della polizia, una Jeep Renegade, con a bordo tre poliziotti, tra cui il vicequestore Cataldo Pignataro.

Secondo le conclusioni dell’esperto, che ha prodotto una perizia di parte e incompleta, il tragico scontro in cui ha perso la vita Antonio sarebbe stato causato da tre fattori: la velocità della moto, l’imprudenza dell’autista dell’autocivetta, e dall’amaro destino. Conclusioni che danno l’opportunità al pm Maria Luigia D’Andrea di mitigare le palesi responsabilità del vicequestore Pignataro capopattuglia dell’autocivetta, giustificando l’accaduto con la fatalità. Che è la pezza che è costretta a mettere a questa indagine, visto che si tratta di un poliziotto. La morte di Antonio, per Maria Luigia, è colpa del tragico e inevitabile destino. Antonio non doveva trovarsi in quel posto, quel giorno e a quell’ora. È stato il destino a guidarlo all’appuntamento con la morte. L’unico responsabile di questa immane tragedia. E come tutti sanno nessun può cambiare il destino, men che meno i tre poliziotti a bordo dell’autocivetta. La cui unica colpa è quella di aver, con la loro imprudenza, favorito il destino già scritto del povero Antonio. I poliziotti coinvolti loro malgrado in questa tragedia, al massimo possono essere accusati di complicità inconsapevole con il destino. Il caso, per Maria Luigia, può dirsi chiuso con un equo “concorso di colpa”.

Ma cosa dice la perizia dell’ingegnere Lima? La perizia stabilisce che l’autocivetta proveniente da via Martorelli alla velocità di 30 km orari, giunta all’incrocio che si immette su via Falvo, rallenta ma non si ferma allo stop, procede dritta occupando gran parte della corsia di marcia di via Falvo da cui proviene, alla velocità di 55/60 km orari, la moto guidata da Antonio che a 15 metri dall’impatto la vede in mezzo alla strada ma né frena, né sterza per evitare lo scontro. Poteva sterzare, frenare, ne avrebbe avuto il tempo, ma non lo fa. Una stranezza che andrebbe spiegata. E Maria Luigia lo fa, spiegando la stranezza, con l’amaro destino. Del resto una spiegazione (leggi pezza) ad una rilevazione tecnica che non si può nascondere, ovvero la posizione al centro della corsia di via Falvo dell’autocivetta, e la mancanza di segni di frenata sull’asfalto della moto, andava data. E il destino va sempre bene.

E se l’Enola de noantri giustifica con il destino la rilevazione tecnica dell’ingegnere Lima, che utilizza come pezza per coprire le responsabilità del vicequestore Pignataro capopattuglia dell’autocivetta, la stessa rilevazione tecnica può essere usata proprio per dimostrare le responsabilità di Pignataro. Innanzitutto va specificato che la moto guidata da Antonio si immette su via Falvo non da via Panebianco, ma da via Lucania. La prima traversa sulla destra per chi si immette su via Falvo da via Panebianco. E questo è un dato accertato perché Antonio, come riferito da testimoni, sosta qualche minuto proprio in via Lucania, prima di immettersi su via Falvo. Il che riduce la distanza tra l’incrocio di via Lucania, da dove esce Antonio, al punto dell’impatto su via Falvo con l’autocivetta posta al centro della strada, a meno di 55 metri.

Via Falvo è una strada dritta e senza traffico. E i 55 metri che Antonio percorre prima dell’impatto sono pochi per giustificare i 60 km orari, e troppi per non aver visto l’autocivetta in mezzo alla strada a mo’ di “posto di blocco”. L’occhio umano vede ben oltre i 55 metri, figuriamoci a 15 metri di distanza. Se ci fosse stato un ostacolo lungo i 55 metri che precedono l’impatto, Antonio l’avrebbe visto. La moto guidata da Antonio percorre i 55 metri che lo poteranno alla morte, con una visuale libera. Se Antonio avesse visto l’autocivetta, come dice il perito, avrebbe di sicuro frenato, o sterzato. Perché non avrebbe dovuto frenare? Ma la verità è che Antonio quando imbocca via Falvo non vede nessun ostacolo alla sua marcia, perciò non avverte nessuna necessità di frenare o di sterzare. Antonio si accorge dell’autocivetta solo quando impatta. Il che vuol dire che l’autocivetta sbuca da via Martorelli, occupando la corsia di marcia di via Falvo, solo qualche secondo prima che Antonio si accorgesse della loro presenza. Non frena perchè non ne ha il tempo. La manovra dell’autocivetta, che si posiziona al centro della strada, è il tentativo del vicequestore Pignataro di sbarrare la strada a qualcuno che bisognava bloccare. Ma sbaglia i tempi, e quando si posizionano è troppo tardi, Antonio è già arrivato all’appuntamento con quello che Maria Luigia chiama destino.

Ma non è certo il destino che posiziona l’autocivetta in via Falvo. E chi dovrebbe spiegare cosa ci faceva in una autocivetta che gironzolava, il sabato mattina, per le traverse di un popoloso quartiere cittadino, il vicequestore Pignataro dirigente del servizio immigrazione, non è certo l’ingegnere Lima, o il destino, ma l’Enola Holmes de noantri. Sapere che ci faceva il vicequestore Pignataro a bordo dell’autocivetta quel sabato mattina in via Falvo è l’unico elemento di questa storia che può dirci se la morte di Antonio è attribuibile al tragico destino, o se era un tragico destino che poteva essere evitato. E non ci vuole la sorella di Sherlock Holmes per sapere che la prima domanda che una brava investigatrice pone al poliziotto, che non è il semplice cittadino, coinvolto in un evento drammatico è: che ci facevi qui? Ma a Cosenza questa è una domanda che, per educazione, non si fa. Perciò Maria Luigia ha imparato a rattoppare. Cucire pezze alle sue tarlate inchieste e ai buchi della polizia sono le sole cose che può fare.