di Chiara Pizzimenti
Fonte: Vanity Fair
“Ho sempre avuto molta passione per il tennis. Ho giocato solo per divertirmi, guardavo tanto in televisione. Compravo le riviste specializzate e su una di queste c’era un’inserzione di Rino Tommasi che cercava ragazzi che lo potessero aiutare a tenere aggiornati i suoi record. Ho fatto una selezione ed è nato tutto così». Elena Pero adesso siede sulla sedia di Rino Tommasi, è la sua voce che sentiamo raccontare le imprese dei tennisti azzurri e non solo nelle telecronache di Sky. Accanto a Tommasi c’era Gianni Clerici, con lei, nella maggior parte delle telecronache, c’è Paolo Bertolucci. «Materialmente faccio la stessa cosa di Clerici e Tommasi, ma a volte non mi sembra vero, vorrei tornare ad ascoltarli davanti alla tv, a sedere dietro di loro. Erano inarrivabili» aggiunge la prima voce del tennis di Sky con cui parliamo del fenomeno tennis.
Che sia un fenomeno lo dicono i dati dei primi quattro mesi dell’anno dell’emittente: il tennis catalizza il 22% degli ascolti di Sky Sport, con un appeal cresciuto del 135% in un anno. Sul calendario non segniamo più soltanto le partite di calcio, ma anche quando scendono in campo Sinner, Berrettini e tutti gli altri ragazzi del tennis azzurro. Sul solo canale dedicato Sky Sport Tennis i contatti unici giornalieri sono sostanzialmente raddoppiati (+87%) rispetto allo stesso periodo del 2023. Dati che fotografano un lavoro fatto di passione e studio. «Uno dei miei incubi ricorrenti è quello in cui dimentico i fogli, non ho niente, non so neanche chi gioca, non ho le cuffie».
C’è studio prima di ogni partito o c’è studio in generale?
«In generale. Il tennis è uno sport che non ti permette di perdere una settimana o due. Succedono cose ogni giorno. La vita non ci guadagna, però bisogna sempre stare sul pezzo altrimenti diventa difficile recuperare. Non puoi non sapere cosa è successo a quel giocatore nelle giornate precedenti».
Un servizio al telespettatore.
«Soprattutto adesso con il bacino che sia un po’ allargato negli ultimissimi anni. Ci sono persone magari non esperte insieme ad appassionati molto aggiornati».
Da quando sono arrivati questi nuovi spettatori? Da quando è cambiato qualcosa?
«L’evento che ha aperto gli occhii a tanti di questa generazione di tennisti, la generazione anche di Berrettini e Sonego sono state le semifinali del Roland Garros di Cecchinato. Una cosa eccezionale, arrivata battendo Djokovic che ha fatto pensare agli altri tennisti che si poteva riuscire in imprese del genere senza essere predestinati. L’anno dopo c’è stato Berrettini che ha fatto la seconda settimana di Wimbledon e poi è andato in semifinale agli Us Open e poi è stato tutto un crescendo per cui poi si innesca un movimento positivo».
Non c’era stato lo stesso slancio per le donne
«Abbiamo avuto le ragazze che hanno avuto dei successi pazzeschi, una finale tutta italiana in uno slam negli Usa con Flavia Pennetta e Roberta Vinci che ci sono arrivate battendo Simona Halep e Serena Williams. E ancora Francesca Schiavone che ha vinto il Roland Garros ed è arrivata in finale l’anno successivo. L’immaginario pubblico evidentemente non è stato colpito così tanto da eventi che invece sono eccezionali».
I tennisti italiani hanno riportato gli spettatori?
«Il tennis in Italia ha avuto un momento di crisi fra gli anni Novanta e i primi Duemila. Ha aiutato tanto l’arrivo di Federer e poi di Nadal e la loro rivalità. Si tifava per l’uno oppure per l’altro. Le finali di Wimbledon tra loro due e poi è arrivato il terzo che era Djokovic. Mancavano gli italiani che ci hanno fatto fare il salto».
Fa fare il salto anche il fatto che siano tutti diversi nella personalità e nel gioco?
«Sì, ognuno ha suo stile e poi è bello vedere come sono vicini tra di loro. L’altra generazione, quella degli anni Settanta e Ottanta è era divisia in fazioni: Panatta e Bertolucci da una parte, Barazzuti e Zugarelli dall’altra, Pietrangeli capitano che aveva tutti contro. Si vede che adesso invece sono vicini, a Malaga c’era Berrettini per la finale di Davis che non poteva giocare. Si sentiva parte di questa squadra, ha carisma, gli altri lo ascoltano, si è creata una complicità. Basta pensare a Sinner e Sonego che giocano il doppio insieme».
Cosa li accomuna?
«Sono tutte persone semplici. Sono eccezionali nel loro lavoro, ma poi sono persone assolutamente normali. Anche l’appassionato più comune, non dico che si identifichi, però si riconosce un po’ in queste persone che non vivono nel lusso sfrenato, che non ostentano».
Luogo ideale per la telecronaca?
«Wimbledon. Non esiste altro posto che abbia la stessa atmosfera, non dico sacra perché è assurdo però avverti che è il torneo più importante. Lo si capisce dalla postazione di commento, dal legnio antico, dalla mancanza dei box scatoletta. Ci sono come degli stalli con un corridoio dietro aperto. L’anno scorso ho fatto la telecronaca che se mi stiravo mi guardavo negli occhi con quelli della TV spagnola. L’erba viva e riposante anche per gli occhi. Parigi è molto elegante. A Roma avverti la storia, ma sempre con qualcosa di provvisorio. La bellezza di Wimbledon è che tu sei dentro la tradizione e c’è però anche una modernità pazzesca nei servizi».
La cosa più difficile di una telecronaca?
«Non perdere il controllo, rimanere obiettivi e non fare il tifo. La cosa più difficile, credo, è sforzarsi di non disturbare chi sta guardando e cercare non di prevaricare quello che stai vedendo. Bisogna cercare di parlare il meno possibile perché è anche bello far sentire i suoni. E poi carcare di lavorare bene con il tuo compagno, cercare di lavorare in coppia in sintonia perché ciascuno faccia fare bella figura all’altro. Bisogna trovare il giusto equilibrio nel condividere l’emozione».
Poche donne fanno il suo lavoro.
«Pochissime. Un anno al Roland Garros, sarà stato i primi anni 2000, è venuta una radio a farmi un’intervista perché di 30 cabine di commento ero l’unica donna a fare la telecronaca. Su quel piano c’era solo il bagno dei maschi. Il tennis è però lo sport in cui molti sono cresciuti con le telecronache di Lea Pericoli, cosa che in altri sport non è accaduto. Ha reso una voce femminile accettabile».