Cosenza, il “romanzo” del Pd. Tra le vele della vendetta: Adamo contro Pecoraro!

Tra le vele della vendetta: Adamo contro Pecoraro!
Il caldo a tratti afoso della solita ottobrata sferzava le strade di Cosenza, mentre la nuova Segreteria provinciale del Partito Democratico veniva puntualmente presentata. Apparentemente, un evento banale e burocratico, che appassiona solo chi aveva avuto qualche nostalgia dell’epoca dei partiti di massa e delle ideologie.
Questa volta, però, l’aria era diversa, carica di tensione, come una tempesta in arrivo. Qualcuno giurava di aver sentito persino odore di zolfo, presagio del maligno e, più laicamente, di congiure e cattive intenzioni. Enzo Giacco da Amantea, Pino Capalbo da Acri e Mario Valente, i fedelissimi dirigenti del Pd di Nicola Adamo, si erano radunati in un bar sotto le ombre delle palme, dove le chiacchiere erano diventate attacchi di ira. I loro volti, solcati dalla delusione, si illuminavano di rabbia e i sigari venivano fumati più velocemente del solito.
“Non ci hanno dato le deleghe che ci spettano,” ringhiò Giacco, i suoi occhi fissi sull’orizzonte, come se stesse cercando un nemico invisibile. E detto da lui che prende ordini da… Madame Fifì, la cosa assumeva un aspetto inquietante. “Abbiamo messo noi Pecoraro Segretario e ci ha fatto fuori”. Pecoraro, proprio lui il ragazzone figlio di cotanto padre che per anni era stato il delfino e il pupillo di Adamo. Ora, il suo destino sembrava incerto nell’immaginario dei presenti, come quello del peggiore dei nemici, che non sai se riuscirai a battere o ti batteranno loro.
Rispondeva un sodale presente: “Della Segreteria non ci frega niente, ma ci ha mancato di rispetto e questa volta deve avere il conto. Adamo io non può perdonargli sempre tutto”.
E così arriva Nicola, vestito di nero, che si ergeva in mezzo allo stesso bar come un’ombra minacciosa. “È tempo di agire” mormorò, e quindi via libera con gli attacchi: “Dobbiamo fare peggio che con la Funaro”. Le parole uscivano dalla sua bocca come proiettili. Tornava così, in un fine settimana sonnolento, il problema eterno del Pd a Cosenza: un partito di violenza politica e prevaricazione. La cultura e il dialogo erano schiacciati sotto il peso della paura, mentre bande di fedelissimi, pronte a colpire, attendevano il segnale.
Quelle parole di Adamo rappresentano il più significativo scontro interno al Pd degli ultimi due anni. Pecoraro, il più adorato erede di Adamo, ora si trovava il suo mentore contro, con odio e rancori scaricati in un fiume di melma.
Caro Pecoraro, “male per te che ti sei fidato,” avremmo potuto dirgli. “Noi ti avevamo avvisato”. Conoscevamo Nicola, anzi Capu i Liuni, sapevamo come sarebbe andata.
All’inizio, Nicola Adamo si sarebbe mostrato come una persona calda, capace di creare un’atmosfera di confidenza e convivialità. Avrebbe parlato di sinistra e ideali, citando intellettuali e maestri; la sua voce sarebbe suonata come un canto di sirena, il ricordo di passioni sincere ma tristi. Ma dietro quell’immagine sarebbe poi emerso il dirigente glaciale e stalinista. Ricopriva di lodi, ma quando qualcuno osava dissentire, affondava la lama, senza pietà.
Trova un giovane, un ragazzo dal sorriso pronto e dai buoni studi. Lo lancia nella politica locale, ma se questo osa avere un’opinione diversa, anche su un dettaglio insignificante, lo distrugge. Alcuni giovani si piegavano, sopravvivendo come ombre nel Comune di Cosenza, mentre altri diventavano bersagli da colpire.
La rottura tra Adamo e Pecoraro è iniziata come una crepa leggera, quasi invisibile. Pecoraro, all’inizio, si è spaventato della situazione di Rende; lo scioglimento l’ha disturbato per mesi. Si va in politica a 18 anni per parlare delle proprie opinioni, magari si fanno i saluti a un convegno, e poi ti trovi a gestire una cosa più grande di te… e se Iacchite’ avesse ragione? E se le persone pulite, affabili, sorridenti, bonarie, che incrociamo alle riunioni sulla politica alta e bella, non fossero le stesse della sera, trasformate dal potere e dal cinismo? Questi i tarli.
Era un percorso lungo, un cammino silenzioso che li aveva separati. Il mondo non sembrava più quello che veniva descritto. Hanno iniziato a seguire strade diverse fino a ritrovarsi su fronti opposti in occasione delle elezioni europee. Pecoraro aveva sostenuto Sandro Ruotolo, mentre Nicola aveva abbracciato la Picerno pena… il gatto a nove code della moglie! La tensione era palpabile, come un filo teso pronto a spezzarsi. Il filo si è spezzato.
Enza, sì insomma Madame Fifì… era dispiaciuta. I suoi pensieri correvano veloci, rincorrendo i sussurri che si diffondevano tra le strade di Cosenza. “La conosciamo troppo bene,” rifletté. “In fondo è più buona del marito. Si arrabbia di più, ma poi il rancore perde vigore”. Avrebbe voluto graziare Pecoraro, ma la verità era chiara: la posta in gioco era troppo alta per concedere indulgenze.
Nelle notti buie, mentre la città dormiva, si riunivano in segreto, lontano da occhi indiscreti. Il rumore dei bicchieri che si urtavano e le risate nervose riempivano le stanze. Era un gioco di strategia, una danza sottile in cui ogni parola pesava come un macigno. Nel Comune di Cosenza, il destino della giunta di Franz Caruso, utile idiota incappucciato, pendeva in un equilibrio precario.
Le discussioni tra Roma e Cosenza si intrecciavano come le radici degli ulivi secolari. La poltrona di vicesindaco era ancora vacante, come aveva detto saggiamente Boccia. Se fosse stata la Federazione provinciale a gestire le trattative, le richieste sarebbero state note. Ma Mazzuca, con la sua solita faccia di culo, appellandosi all’unità, smentiva ogni insinuazione ma mentiva sapendo di mentire. La verità, però, era che la discontinuità della giunta era diventata un mantra, così come la necessità di un nuovo capo gabinetto esterno, un magistrato o un ex magistrato magari, come si usa nei ministeri. Qualcuno aveva pensato addirittura di chiamare il Gattopardo (se volete potete toccarvi…).
Il vero tema, però, si nascondeva in un angolo buio della sala. Se Pecoraro fosse arrivato alle regionali e alle politiche alla guida del Pd, sarebbero stati guai seri. La proposta di candidare Ruotolo come Presidente della Regione Calabria era stata lanciata come una provocazione o una minaccia. A cosa si riferiva e perché era stata fatta così presto, perché non condivisa con nessuno? Una sfida aperta alla Presidenza di Caruso a cui non crede manco lui… o un’ostentazione simulata di forza? E se volesse aprire un dialogo con Stasi e Tridico e avesse utilizzato il nome di Ruotolo per trattare? Quien sabe…
Questi dubbi facevano il paio con un altro caffè, dell’altro pomeriggio, sempre in zona Cosenza centro. “Dovremmo dirlo chiaro,” si erano detti in gruppo, i volti segnati dall’esperienza e dalla fatica. Non erano mai stati fan di Pecoraro, “ci tratta con indifferenza”, ma se lui avesse rappresentato l’unica speranza per il Pd di opporsi ai metodi di Adamo, allora avrebbero dovuto appoggiarlo. Non arriveranno altre occasioni a breve.
Pecoraro, però, a questo punto ha solo una possibilità, lo sa lui e lo sanno tutti: portare il Pd a sostenere Flavio Stasi come Presidente della Regione. Senza quella mossa, tutto sarebbe stato vano, solo una battaglia perduta nel deserto della politica. Questa volta lo grazieremo, oggi non lo vogliamo attaccare, ma avrà il coraggio di combattere fino in fondo? Il vento della vendetta soffia forte, ma un marinaio o muore o si rafforza nella tempesta. Se lo ricordi. Il romanzo o meglio la farsa continuerà…