(di Concetto Vecchio – repubblica.it) – La notizia viene resa pubblica alle sette di sera. Giorgia Meloni riceve il vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli. L’incontro è frutto di una convocazione della premier, non concordata col Quirinale. Poco dopo palazzo Chigi fa diramare il seguente comunicato: «La visita si inserisce nell’ambito di una proficua e virtuosa collaborazione nel rispetto dell’autonomia delle differenti istituzioni». Ma fino a prova contraria il Consiglio superiore della magistratura è ancora presieduto dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Quel che è avvenuto, e sbandierato con enfasi, è quindi un’irritualità che si inserisce nel mezzo di un cannoneggiamento mediatico della destra nei confronti della magistratura. È infatti a tarda sera al Colle non nascondono «lo stupore» per la visita.
Proprio ieri lo scontro sul centro in Albania ha raggiunto una nuova vetta con l’accusa di Matteo Salvini («comunisti!») nei confronti dei giudici di Catania che non hanno convalidato i trattenimenti nei centri di tre migranti egiziani e due bengalesi perché provenienti da Paesi non ritenuti sicuri. «Non applicano le leggi», secondo il leader della Lega.
In mattinata i componenti togati del Csm, esclusi tre membri, al colmo della tensione avevano depositato la richiesta di apertura di una pratica a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia dei magistrati del tribunale di Bologna che nei giorni scorsi avevano rinviato alla Corte di giustizia europea il decreto del governo sui Paesi sicuri. I magistrati lamentano, sulla questione migratoria, «un’inaccettabile pressione». Si sono sentiti etichettare come «anti-italiani» per avere sentenziato in linea con le leggi europee su quei migranti che Giorgia Meloni invece intende rinchiudere nei centri in Albania.
E qui si inserisce l’irritato stupore del Quirinale per la convocazione di Pinelli, in passato avvocato di diversi esponenti della Lega e socio della Fondazione Leonardo. Per quello che è uno strappo alle regole da parte di palazzo Chigi, che aggiunge così pressione a pressione. Il Quirinale com’è noto ha dato il suo via libera al decreto del governo, dopo faticosa mediazione, evitando però che ai tribunali subentrassero i giudici di pace, rendendo la legge più consona al diritto comunitario. Soprattutto lasciando l’ultima parola alla giustizia. In quei giorni alla Presidenza della Repubblica si faceva notare che persino un avvocato che in passato aveva militato nel centrodestra, come Gaetano Pecorella, aveva definito ineccepibili i pronunciamenti dei giudici.
Ma il cannoneggiamento dopo il decreto non è diminuito. Anzi è aumentato di intensità. E al Quirinale, dove si sono sempre battuti per una leale collaborazione delle istituzioni, nel rispetto delle prerogative di tutti gli attori, non hanno apprezzato la violenza dello scontro. Un attacco che divide i magistrati in ideologizzati – i rossi da condannare – e il resto – i buoni – con cui invece dialogare. Un distinguo che non può non fare piacere a Mattarella: il referente dell’autogoverno della magistratura.