Un’operazione anche mediatica, finalizzata ad ottenere premi di produttività rivelatisi poi del tutto immeritati perché quell’opera, il viadotto Scorciavacche, nel territorio di Mezzojuso, sulla Palermo-Agrigento, inaugurata in pompa magna a Natale del 2014 non riuscì neanche a stare in piedi per una settimana e crollò il 30 dicembre successivo. E’ questo – in estrema sintesi – il fulcro della lunga requisitoria del sostituto procuratore Giovanni Antoci che, appena qualche mese fa, aveva chiesto la condanna degli unici tre imputati per cui non era ancora scattata la prescrizione, cosa che comunque avverrà prima della conclusione dei tre gradi di giudizio.
Il crollo del viadotto, che sarebbe stato realizzato su un terreno instabile, fu un fatto clamoroso perché la sua apertura – come ricostruito dall’accusa senza neppure il collaudo – fu pubblicizzata come un grande risultato, sia per le refluenze che avrebbe avuto per la viabilità, ma anche perché – cosa che in Italia, e men che meno in Sicilia, non accade praticamente mai – l’inaugurazione era avvenuta addirittura prima dei termini previsti.
A coordinare l’inchiesta che, nonostante la sua complessità fu chiusa in tempi ragionevoli a giugno del 2017, fu proprio il pm Antoci, che all’epoca era sostituto alla Procura di Termini Imerese. I primi ostacoli, però, vennero fuori già durante l’udienza preliminare, quando le difese degli imputati sollevarono il problema della competenza territoriale, sostenendo che la sede naturale del processo avrebbero dovuto essere Palermo, dove sarebbe stata firmata l’ordinanza per l’apertura del viadotto e non a Termini, dove invece era avvenuto materialmente il crollo. Il gup respinse l’istanza e rinviò tutti a giudizio. Ma il fascicolo, a quel punto, finì per errore alla sezione monocratica del tribunale di Termini. Mentre i mesi passavano, fu poi assegnato correttamente ad una delle due sezioni collegiali che, però, per riequilibrare i carichi di lavoro, decise di mandarlo all’altra.
Dopo quasi due anni, a gennaio del 2019, il processo si era finalmente aperto, ma gli avvocati riproposero la questione della competenza territoriale che stavolta venne accolta dai giudici nel marzo successivo. Gli atti vennero quindi trasmessi a Palermo – dove nel frattempo venne anche trasferito il pm Antoci – dove fu inevitabile ricominciare tutto da zero, rifacendo anche l’udienza preliminare. Proprio davanti al gup fu ancora una volta sollevata la stessa questione di competenza, ipotizzando addirittura che la sede del processo avrebbe dovuto essere quella di Roma. Alla fine, nella primavera del 2021, fu la Cassazione a chiudere definitivamente l’argomento, stabilendo che il processo si doveva celebrare a Palermo. Dove effettivamente è poi iniziato, ma nel frattempo è scattata la prescrizione per alcuni capi d’imputazione. Anche il troncone rimasto in piedi non potrà mai arrivare a sentenza definitiva in tempo. Fonte: Palermo Today