Cosenza. L’affaire via Miceli/D’Ippolito, gli asini e la vendita delle vie (di Luca Addante)

L’AFFAIRE VIA MICELI/D’IPPOLITO, GLI ASINI E LA VENDITA DELLE VIE DI COSENZA

di Luca Addante

Parleremo di scandali, di massoni, di Sistema Cosenza; di censure, di asini, di strade vendute per voti. Abbiate la cortesia di seguirmi. Partendo dal fatto che, a Cosenza, quel ramo di via Miceli che volge a viale Alimena da corso Mazzini non si chiama più via Miceli. Il resto della strada resta qual è, ma il primo pezzetto è ora via Ernesto d’Ippolito.

Allora uno pensa: perché un pezzetto di una strada diritta, di poche centinaia di metri, cambia nome lasciando invariati i metri restanti? E poi riflette sui problemi delle decine di residenti e commercianti di quel pezzetto, che dovranno cambiare documenti d’identità, scontrini fiscali, ragione sociale, mettere in conto disservizi con le consegne postali. Vai a informare tutti che hai cambiato indirizzo! e poveri corrieri…

Invece di porsi questi problemi (come vedremo comuni a migliaia di cosentini), un tale ospitato da Iacchite’ dietro lo pseudonimo «Pasquale Rossi» si leva indignato discettando a sproposito di storia e massoneria.

Il problema per costui è che Miceli era un patriota del Risorgimento, uno dei Mille, mentre D’Ippolito era un «arcimassone». Con usata retorica, su D’Ippolito non dice una sillaba in più. Un «arcimassone»? e ho detto tutto! avrebbe detto Totò. D’Ippolito era massone, e dunque una merda. Miceli era uno dei Mille, e dunque un eroe.

COSENZA, LA DIFFERENZA TRA MICELI E D’IPPOLITO (https://www.iacchite.blog/cosenza-vi-spieghiamo-la-differenza-con-decenza-parlando-tra-luigi-miceli-e-ernesto-dippolito/)

Ora, io non sono un massone ma uno storico che Risorgimento e massoni ha studiato, rivelo quindi allo pseudo Rossi una notizia: qualche incappucciato si era infiltrato pure tra i Mille, a partire da un tal Garibaldi. E il colmo è che massone era anche il grande sociologo e medico socialista cosentino Pasquale Rossi (1867-1905), quello vero, di cui il Rossi de noantri usa quindi il nome un tantino a sproposito, con un cortocircuito asinesco. Uno che si cela dietro il nome di Rossi attacca D’Ippolito sol perché era massone. Eppure, massone era anche il vero Rossi dietro il quale si nasconde l’anonimo autore.

Ma questo è solo l’inizio. Per avvalorare la propria tesi, il Rossi tarocco copia e incolla la voce dedicata a Miceli dal Dizionario biografico degli Italiani, l’opera (in 100 volumi) più importante della prestigiosa Treccani. Naturalmente, mi guardo dal criticare un’opera fondamentale per la quale io stesso ho scritto per anni. Anche nelle migliori famiglie, però, c’è qualche pecora nera, e purtroppo per il Rossi da’ pompa è questo il caso. Di norma, con la Treccani collaborano accademici esperti. Tuttavia, la voce su Miceli non è opera di uno storico ma di un tal Paolo Posteraro. Forse lo stesso noto ai lettori di Iacchite’. Ebbene, la sua voce è un capolavoro di reticenza, sicché o il Posteraro si è autocensurato o dimostra di non conoscere l’abc del mestiere.

E non può essere altrimenti, perché se Miceli fu figura esemplare del Risorgimento, fatta l’Italia e poi giunto al potere (fu più volte ministro) egli mutò posizione, come tanti altri patrioti che dopo l’Unità raffreddarono lo slancio rivoluzionario. Un’involuzione politica rivelata soprattutto da una vicenda scabrosa, su cui il Posteraro (e il Rossi contraffatto) tacciono completamente. Lasciando basiti, poiché nulla è detto sul fatto che Miceli ebbe un ruolo cruciale in quello che fu il primo scandalo politico-finanziario della storia dell’Italia unita: lo scandalo della Banca Romana scoppiato nel 1892. La prima Tangentopoli italiana che vide coinvolta l’alta finanza, la politica al massimo livello, le lobby dei costruttori e degli industriali insieme con giornalisti, burocrati e altri attori di primo piano.

Una Tangentopoli di cui a livello politico ebbe per primo notizia proprio il ministro Miceli, che pensò bene di insabbiare la cosa. L’insabbiamento fallì, lo scandalo scoppiò clamoroso e sebbene finirono tutti assolti dalla giustizia (?) italiana, le conseguenze politiche furono devastanti. Miceli imboccò il viale del tramonto dopo essere stato eletto deputato ben 12 volte. Dopo una carriera politica costruita a livello locale attraverso quel che si chiamava il «partito miceliano», un’aggregazione di sindaci (a partire da quello di Cosenza), assessori, magistrati, burocrati, dirigenti scolastici e altre figure del notabilato cittadino e provinciale. Era il primo passo della modernizzazione del «Sistema Cosenza», che per molti versi funziona tuttora. Seppure non siano mancati poi mutamenti; e ricordando che le basi del sistema risalgono al XVI secolo. Ora: chi abbatté, dopo un ventennio, quel primo moderno sistema Cosenza fu una coalizione progressista tra repubblicani, liberali di sinistra, radicali e socialisti, che all’indomani dello scandalo della Banca Romana vinse le elezioni comunali nel 1895 e le politiche del ’97. Una coalizione progressista, che diede vita a una delle migliori amministrazioni comunali cosentine di sempre.

Il problema (per l’imitazione di Rossi) è che di quella giunta faceva anche parte il vero Pasquale Rossi. E cemento di quella coalizione di estrema sinistra era l’appartenenza massonica. Si vede dunque quanti paradossi asinini ne emergano: un sedicente Pasquale Rossi difende Miceli, ignorando i motivi per cui dal vero Rossi fu fieramente avversato. E attacca d’Ippolito in quanto massone, massone come il vero Rossi e gli altri che abbatterono il sistema miceliano. Prima di mettere in mezzo la storia, insomma, la gente farebbe bene a studiare meglio. Aggiungo che sono certo che D’Ippolito (che la storia del Risorgimento la amava) sarebbe il primo a scagliarsi col suo ben noto vigore contro questa scelta scellerata.

Come faccio a dirlo? Perché questo mutamento di un pezzetto di strada è solo l’ennesimo di una lunghissima serie. È solo la punta di un iceberg di cui i cosentini hanno avuto scarsa coscienza, visto che parliamo di qualcosa che ha coinvolto circa 20.000 abitanti.

Dai primi anni 2000 sono stati cambiati i nomi di oltre trecento vie e piazze della città, più di un terzo del totale. E ciò in primo luogo perché le strade sono state messe all’incanto. Parlo di un tema sul quale possiedo copia di tutti i fascicoli conservati al Comune, sicché chiunque voglia smentirmi mi troverà molto ben preparato. E posso documentare al dettaglio che, in particolare un assessore (oggi di nuovo in carica, e infatti le strade riprendono a cambiare nomi), assicurò a centinaia di persone l’intestazione di strade a propri parenti in cambio di voti. Parenti che non avevano minimamente il curriculum né di Miceli né dello stesso D’Ippolito, grande penalista e presidente dell’Accademia Cosentina.

Ora, la madre di questa catastrofe culturale e politica risale a un’amministrazione precedente a quella che si vendette le strade per voti, ed è l’intitolazione di Piazza Fera a Carlo Bilotti in cambio delle statue. E sapete chi contrastò con forza quella scelta che innescò la valanga? Ernesto d’Ippolito, come documentano i giornali dell’epoca. Il problema non è dunque il micro caso via Miceli/D’Ippolito, ma è che ci sono stati e ci sono amministratori che usano le vie cittadine per fare piaceri, mutando nome a centinaia di strade e creando problemi a migliaia di cosentini. Rivelando un baratro culturale e politico devastante per la fu Atene delle Calabrie.

Fortunatamente, quando la classe politica è scadente e ignorante a questo livello fa pure boiate. A partire dal fatto che la gran parte di queste intitolazioni è stata operata con procedure che dal punto di vista giuridico sono viziate da nullità assoluta. Questo significa che qualunque cosentino, in ogni momento, può ricorrere al TAR e chiedere l’annullamento della intitolazione della gran parte delle vie e delle piazze. Ciò non vale per via d’Ippolito, la cui procedura è stata corretta e che ci si augura sarà al più presto cancellata e spostata altrove. Ma vale per la stragrande maggioranza delle altre vie. Risolverebbe il problema, come sempre, l’agire in comune. Rovesciare l’antropologia cosentina, secondo cui rrobba comune? jettala aru jume…