Autonomia differenziata: per la Consulta il referendum è inammissibile

La Consulta ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo della legge sull’Autonomia differenziata delle Regioni. Ad emettere la sentenza sono stati gli attuali undici giudici della Corte Costituzionale. La Corte ha rilevato che «l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari». La Consulta si era già espressa il mese scorso in merito alla cosiddetta ‘legge Calderoli”, sottolineando – ai fini di compatibilità costituzionali – la necessità di correzioni su sette profili della stessa legge: dai Livelli essenziali di prestazione (Lep) alle aliquote sui tributi.

La prossima data da segnare sul calendario è il 10 febbraio, quando la Corte Costituzionale depositerà le ordinanze con le motivazioni. Si sono espressi oggi solo 11 giudici, perché i quattro giudici della Consulta di nomina parlamentare non sono ancora stati eletti. Dopo la tredicesima fumata nera, la seduta a camere riunite è stata nuovamente convocata per giovedì 23 gennaio.

Sul quesito si sarebbe dovuto votare in una domenica in primavera, tra il 15 aprile e il 15 giugno. Il referendum contro l’autonomia differenziata dunque non ci sarà. Nasceva da un’iniziativa di Cgil, Uil, partiti di opposizione e associazioni civili, a cui si sono aggiunti i consigli regionali di Campania, Sardegna, Toscana, Puglia ed Emilia Romagna. I due quesiti iniziali erano stati unificati in un unico quesito, che chiedeva l’abrogazione del cosiddetto ddl Calderoli, approvato nel giugno 2024.

I giudici costituzionali erano già intervenuti sulla legge Calderoli con la sentenza 192 del 2024, che ha eliminato ben 7 punti, dai Livelli essenziali di prestazione (Lep) alle aliquote sui tributi erariali, e ne ha riscritti altri cinque. La sentenza della Corte aveva ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata, considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo.

Lo stop al ritengano al referendum era nell’aria, e per questo motivo il governo e la premier Meloni non si sono esposti. Nella camera di consiglio a Palazzo della Consulta non era presente infatti l’avvocatura dello Stato per sostenere l’inammissibilità del quesito.