I SENZA VOCE SONO I PILASTRI DELLA NOSTRA CITTÀ’
L’OMELIA DEL VESCOVO CHECCHINATO, IN OCCASIONE DELL’ANNUALE CELEBRAZIONE IN ONORE DELLA PATRONA, INCANTA E FA RIFLETTERE
Il noto e popolare episodio biblico delle Nozze di Cana, quando Gesù tramutò miracolosamente l’acqua in vino, durante un matrimonio nell’allora palestinese Galilea, è l’incipit che Sua Eccellenza Monsignor Checchinato ha utilizzato per la sua
omelia durante la tradizionale messa votiva in onore della Madonna del Pilerio, patrona della città di Cosenza.
Un’omelia appassionata, densa e genuinamente “politica”, un’omelia che, commentando l’episodio delle celebri nozze, ha riflettuto, sin dalle sue prime battute, sul senso profondo del concetto di festa e condivisione. Non si può mai essere soli nella festa e, soprattutto, non possono essere solo pochi eletti ad avere il privilegio della stessa. Ognuno è custode e responsabile della vita altrui, ognuno è chiamato a creare le condizioni affinché, ogni giorno, si possa “festeggiare” insieme, ovvero vivere una vita degna, una vita all’insegna della solidarietà e del mutuo soccorso, non dell’egoismo e dell’individualismo.
E, ha continuato il Vescovo, è giunto finalmente il momento che la Chiesa, così come tutte le altre componenti sociali e istituzionali, si facciano realmente carico della Storia, con tutte le sue contraddizioni, diseguaglianze, ambiguità, sofferenze. Una “Chiesa in uscita”,
così la definisce Checchinato, una Chiesa missionaria e militante, in grado di ascoltare e spronare al cambiamento, di combattere contro le numerose e profonde sperequazioni economiche e sociali. La nostra società è sempre più indifferente di fronte ai bisogni
impellenti degli ultimi, una società che, a livello globale e locale, promuove una drammatica “economia dell’eclusione”, così come la definisce anche Papa Bergoglio.
Il mito del libero mercato, ha proseguito il Monsignore, ha solo generato un irrefrenabile aumento delle diseguaglianze, dando vita a “serbatoi delle miseria e della disperazione”, inaccettabili sacche di vecchie e nuove povertà. Ed è soprattutto su quest’ultime che si è concentrata la riflessione del Vescovo, quelle poverte inedite, che non ti aspetti, le povertà frutto di un improvviso ribaltamento delle condizioni economiche di singoli e famiglie che, da un giorno all’altro, possono trovarsi sull’orlo del lastrico e senza un tetto sulla testa. Nuovi “naufragi”, così li definisce Checchinato, proprio come quelli che uccidono le vite di centinaia di migranti, ogni anno, nei nostri sanguinosi mari. E come risponde la politica istituzionale a tutto questo, come i governi nazionali e locali pensano di fronteggiare questo tracollo trasversale? Inasprendo le misure di sicurezza, colpevolizzando gli ultimi e i sofferenti, leggendo povertà e disagio alla stregua di minacce da cui doversi difendere, in nome della tutela di un presunto ordine pubblico, sottolinea acutamente il Vescovo, o di un non meglio definito decoro urbano.
La povertà non può essere rubricata come una questione inerente alla gestione della sicurezza nelle nostre città e, senza ombra di dubbio, ci ritorna in mente il corpus del DDL 1660, specchio impietoso di un atteggiamento che ha generato quella che il Vescovo
ha rinominato “aporofobia”, un triste neologismo che allude alla paura che le povertà, a tutti i livelli, creano nelle menti dell’italiano medio o del sordido difensore dei privilegi e del malaffare. Un’inaccettabile “metamorfosi morale” che, oltre all’economia, ha
“globalizzato” anche l’indifferenza. Eppure, ha concluso Sua Eccellenza, ci sono tanti segni del bene e della speranza nel mondo e nelle nostre comunità locali, associazioni e comitati che lottano, ogni giorno, per difendere i diritti di questi ultimi. Ed è da queste
pratiche “politiche” di mutuo aiuto, solidarietà e lotta sociale che occorre ripartire per ricreare le condizioni per l’avvento di una società della cura e dell’ascolto profondo, una società senza più differenze e diseguaglianze.
A partire, ha sottolineato il Vescovo, dalle questioni più urgenti per la nostra comunità cittadina, quelle del diritto all’abitare, del lavoro e della sanità. E, ne siamo certi, alle numerose autorità presenti in prima fila, saranno “fischiate” le orecchie. Le stesse orecchie “istituzionali” che, da troppo tempo, hanno smesso di ascoltare la voce dei veri “pileri”, dei reali pilastri della nostra città, quegli ultimi che meritano di uscire dal buio dell’invisibilità