Apprendiamo, con profondo dispiacere, che i platani superstiti di via Raffaele Capalbo ad Acri, saranno a breve eliminati. Una parte di essi aveva di recente dovuto soccombere ad un primo perentorio assalto delle motoseghe, che ne ha interrotto quella magnifica linea prospettica che dal limitare dell’ufficio postale si estende (ancora per poco) oltre il palazzetto dello sport e la bocciofila, incrociando via Aldo Moro.
Il lungo dritto filare di questi splendidi alberi, conferiva dignità di viale ad una zona considerata impropriamente residenziale e che ora sta sperimentando tutti gli errori e gli orrori di una urbanizzazione selvaggia e senza criterio alcuno. com’è possibile vedere se di vedere naturalmente si ha voglia.
Si taglia per far posto ad una pista ciclabile e perché le radici delle piante pare abbiano creato delle gobbe ai marciapiedi. Queste sono le motivazioni a quanto pare e questo è quanto mi è stato dato di appurare.
Se davvero stanno così le cose, siamo al ridicolo. Non solo non ho visto in tutti questi anni una sola bicicletta lungo questa direttiva (Acri è un ossessivo e perpetuo carosello di auto e di moto), ma se era necessario costruire un moncone di pista ciclabile lungo tale percorso (con cosa si raccordi e dove sia diretto resta un mistero), bastava farlo scorrere a fianco del marciapiede. Quanto alle gobbe, bastava una semplice opera di risistemazione, come avviene in qualsiasi città dove esistono alberi.
Vi immaginate che per un semplice problema di radici, Roma si mette ad abbattere i secolari alberi dei suoi viali o del Lungotevere?Â
Con una trasversale compiacente concordanza, presto lo scempio si compirà definitivamente. Quando l’ignoranza, la stupidità e l’incoscienza si alleano, gli esiti non possono che essere rovinosi. Chi lo avrà autorizzato, chi lo avrà eseguito e chi lo avrà lasciato compiere senza muovere un dito. dovrà assumersene per intero la responsabilità e la vergogna. Io, per quanto mi riguarda, sto dalla parte degli alberi abbattuti e che si abbatteranno.
Contro tutti loro.
Angelo Gaccione