La “Trump Gaza”, un affare di Intelligenza Artificiale (e dollari)

(di Riccardo Antoniucci – ilfattoquotidiano.it) – “Cosa accadrà a Gaza?”. Un salto spazio-temporale trasforma le rovine della Striscia in una nuova Dubai: grattacieli, yacht ammarati di fronte a spiagge lussuose, auto sportive, un hotel di lusso con l’insegna “Trump Gaza”, una piazza con una statua d’oro di dieci metri del presidente degli Stati Uniti e sue effigi d’oro nei mercatini. Elon Musk che si gode un piatto di humus e pita, dollari che piovono dal cielo: su Musk, sui gazawi, sui turisti; Trump e Netanyahu spalla a spalla in costume con un cocktail a bordo piscina. È quello che si vede in un video di 30 secondi, realizzato con l’intelligenza artificiale, postato ieri da Donald Trump sui suoi social. Il tycoon non ha aggiunto commenti, ma la Rete si è riempita di indignazione, di utenti e leader: l’Anp l’ha giudicata una “pagliacciata”. Tra le immagini anche odalische barbute, un Trump che avvicina una danzatrice del ventre, un bambino che trascina un palloncino con il suo faccione dorato. Di sottofondo un motivetto algoritmico scandisce in rima: “Donald arriva per rendervi liberi / Porta la luce per tutti, niente più tunnel, niente più paura / finalmente è arrivata la Gaza di Trump”.

Il video non è farina del sacco di Trump, né del suo più tecnologico consulente Musk, che possiede il servizio di Ia Grok. Probabilmente generato con l’app Runway, è online da un mese: il 7 febbraio, cioè tre giorni dopo la famosa conferenza stampa con Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca dove è stata lanciata la “visione per Gaza” trumpiana, Ziv Rubinstein, musicista e paroliere israeliano l’ha postato sul suo canale Telegram, aperto dopo li 7 ottobre per “diffondere notizie dal mondo arabo”. “Non è mio, l’ho pubblicato perché faceva ridere”, ha raccontato Rubinstein al Fatto, spiegando di averlo recuperato dal web israeliano citando la società di booking Notv (ma non ce n’è traccia sui canali ufficiali). Di like in repost, 20 giorni dopo, il prodotto nato come satira è arrivato sotto gli occhi del presidente Usa, che deve averlo apprezzato come illustrazione del suo pensiero. Per il suo piano di “Gaza Riviera” turistica, Trump ha parlato di “possesso” statunitense della Striscia e deportazione forzata degli oltre 2 milioni di palestinesi. L’idea, come ha raccontato il Fatto, circola da tempo tra i repubblicani. Jared Kushner ha alluso più volte al valore delle spiagge di Gaza come asset immobiliare, un ignoto economista di Boston, Joseph Pelzman, ha rivendicato la paternità dell’idea.

L’unico effetto ottenuto dalla proposta, per ora, è stato unire il mondo arabo: dall’Egitto all’Arabia Saudita, passando per gli Emirati Arabi Uniti (vicini a Israele, unici a firmare gli Accordi di Abramo), tutti hanno opposto un severo “non se ne parla”. Il problema non è la titolarità della ricostruzione, stimata in 53 miliardi di dollari dall’Onu in 10 anni e per cui si immaginano partnership internazionali, ma la deportazione dei palestinesi. Golfo, Egitto e Giordania lavorano da un mese a un piano alternativo senza deportazione, da presentare al vertice della Lega araba del 4 marzo al Cairo. E di cui si sa poco, se non che l’Egitto ha proposto investimenti per 20 miliardi di dollari in 3-10 anni più un percorso per lo Stato di Palestina.

Netanyahu osserva, compiaciuto di un esito che in ogni caso pare favorevole per Tel Aviv e forte di un sostegno dagli Usa, dove ieri i repubblicani hanno proposto di ribattezzare la West Bank Giudea e Samaria in omaggio al lessico usato dai coloni. Ieri si è sbloccato l’accordo sul cessate il fuoco con Hamas: gli islamisti hanno restituito i corpi di 4 ostaggi morti e Israele ha scarcerato i 600 detenuti il cui rilascio era stato bloccato dopo il caso dei Bibas. In West Bank, però, 40 mila palestinesi sono stati costretti a lasciare i campi profughi nell’ambito dell’operazione antiterrorismo israeliana “Muro di Ferro”, e il ministro della Difesa Katz ha dichiarato che gli sfollati non torneranno più indietro.