Ornella Vanoni, il “Pilone” di Santa Trada e le canzoni della “mala” milanese

Lo sketch andato in scena lo scorso inverno, subito dopo Sanremo, nel salotto di Fabio Fazio sul Nove tra Ornella Vanoni – che oggi ricordiamo a poche ore dalla sua scomparsa – e il nostro Brunori Sas non poteva non comprendere la Calabria.

Quando si accenna alla calabresità del Nostro, la Vanoni ce la mette tutta per rafforzare lo stereotipo dei calabresi mafiosi e così racconta che negli anni Ottanta era andata a cantare in un locale della Calabria che si chiamava “Il Pilone” davanti a un gruppo di brutti ceffi con i baffoni che stava lì ad ascoltarla senza espressività e che la intimidivano… E meno male che, alla fine, ci rivela che ha qualche amica a Cirò, sennò davvero ci mancava soltanto che dicesse che dentro quel “pilone” ci avessero messo qualcuno. Lo stesso Dario, preso alla sprovvista dalla rivelazione, aveva commentato quasi a bassa voce: “Già il nome…”.

In realtà, il “Pilone” è un bellissimo posto della Calabria, a Villa San Giovanni, un vero e proprio giardino naturale dello Stretto. “Santa Trada al Pilone” è un’immersione tra natura incontaminata, storia e mito. Ai piedi del suggestivo “Pilone”, nel fantastico scenario naturale della Borgata di Santa Trada, in posizione dominante sullo Stretto di Messina, sorge la sala banchetti “Santa Trada al Pilone”, capace di ospitare, con il suo salone, il Roof Garden e le piazzette, oltre 2000 commensali. L’elegante terrazza, come sospesa tra cielo e terra, si affaccia sulla storica fortezza di Torre Cavallo e sull’antico Castello di Altafiumara. Il panorama mozzafiato di uno dei tratti di maggiore attrazione della Costa Viola, dove la scogliera si tuffa nelle acque cristalline dei mitici Scilla e Cariddi, fa da cornice all’attenta organizzazione di banchetti, serate di gala, defilé, meeting e congressi. Creato per ospitare eventi speciali, il locale si caratterizza per la sua collocazione in una location naturale e storica dalle forti fascinazioni.

Ornella Vanoni dev’essere stata invitata all’inizio degli anni Ottanta ai tempi di “Vai Valentina” per un evento speciale ma con la mente forse sarà tornata ai tempi in cui era stata ribattezzata la cantante della mala milanese. Una storia che merita di essere ricordata anche perché per molto tempo è stata una caratteristica importante della grande artista scomparsa.

Ornella Vanoni e le canzoni della mala (tratto da FardRock)

Fonte: FardRock (https://fardrock.wordpress.com/2017/06/26/le-canzoni-della-mala/)

Alla fine degli anni ’50 l’esordiente Ornella Vanoni incuriosì pubblico e critica nelle vesti di interprete di canzoni molto particolari. Ad affidargliele fu Giorgio Strehler, il fondatore del Piccolo Teatro di Milano che in quel periodo era anche suo compagno, che raccontò di aver trovato in un cassetto di una vecchia abitazione milanese degli spartiti inediti che sembravano perfetti per l’interpretazione della giovane cantante.
Erano tipiche canzoni popolari che trattavano temi di delinquenza, prostituzione, crimine e, come si usava chiamarla a quei tempi, “malavita”.

Per saggiare il terreno, Strelher decise di mandare in scena Ornella proprio al Piccolo, durante gli intervalli del dramma I Giacobini pensando che, se avesse convinto il pubblico in quel contesto, avrebbe potuto sperare in un successo a più ampio raggio. Fu un piccolo trionfo: Vanoni rapì la platea e gli applausi furono scroscianti. Nacque subito un disco, un EP intitolato semplicemente Le canzoni della malavita, che comprendeva versioni italiane di Saint Lazare di Aristide Bruant, e Jenny delle Spelonche, tratta da L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht e sul retro gli inediti Senti come la vosa la sirena e Canto di carcerati calabresi.
I brani, grazie anche alla voce peculiare di Vanoni, riscossero un buon successo anche discograficamente, tanto che la cantante cominciò a dover affrontare impegni sempre più prestigiosi incluse alcune apparizioni televisive che le donarono un’enorme popolarità.

mala21Qualche mese più tardi arrivò un secondo disco, un nuovo EP intitolato Le canzoni della malavita Vol.2, nel quale apparivano quattro pezzi oggi diventati dei veri e propri classici come Ma mi, Hanno ammazzato il Mario, La zolfara e Le mantellate. Vanoni era talmente in parte che il pubblico per un po’ fu convinto che la malavita fosse anche un ambito da cui la cantante proveniva. La sua gestualità, enfatica e inconsueta, aveva qualcosa di sensuale e ciò comportò qualche eccesso di critica oltre all’intervento della censura radiotelevisiva che incluse alcune di quelle canzoni negli elenchi dei dischi “vietati”.

Sebbene in molti ancora oggi credano all’origine dichiarata da Strehler di brani tradizionali trovati per caso, la verità venne presto a galla: si trattava di finti traditional, scritti per lo più da Strelher stesso con la complicità del geniale Fiorenzo Carpi, ai quali avevano collaborato alcuni artisti gravitanti nell’ambiente del Piccolo Teatro come Dario FoFranco Amodei e Gino Negri per un’operazione che si configura come uno dei più famosi falsi storici della nostra canzone. Pensate che c’era anche un brano intitolato “Canto di carcerati calabresi”. 
Dato il successo inaspettato, Ornella Vanoni cominciò a temere che il filone “della mala” potesse diventare un cliché in cui finire rinchiusa. Questo, assieme alla fine della sua relazione con Strelher e all’esigenza di misurarsi con altri generi, la convinsero ad allontanarsi dall’ambiente del Piccolo per cercare nuovi autori e un accesso al mondo della musica leggera. Una scelta ponderata e saggia che le conferì il successo e la popolarità di cui ancora oggi gode. Da qui, probabilmente, il rigetto di un ambiente che non le aveva lasciato troppi buoni ricordi.