Cosenza. Ispettore della digos minacciato, il silenzio della questura che copre una guerra interna

Se la questura di Cosenza si è tanto adoperata per nascondere la notizia, un qualche motivo ci sarà. E noi, come sempre, abbiamo scavato per comprendere meglio le ragioni di questa omertà istituzionale.

Questi sono i fatti: è il 26 febbraio, un giorno speciale per la divisione digos della questura di Cosenza, in particolare per il dirigente Raffaele De Marco, che festeggia il suo pensionamento. Per l’occasione, ha invitato a pranzo il personale con cui ha collaborato nei quattro anni alla guida della digos. L’appuntamento per tutti i partecipanti è presso la questura, da cui si parte per raggiungere il luogo dell’evento, situato poco fuori Cosenza. Si organizzano le auto: non ha senso che ognuno vada con la propria, così alcuni parcheggiano nei pressi della questura e salgono a bordo dell’auto di un collega. E via.

Una volta terminato il pranzo, chi aveva usufruito di un passaggio viene riaccompagnato alla propria auto. Ed è qui che arriva la sorpresa: un ispettore della digos, giunto alla sua vettura parcheggiata nei pressi della questura, nota qualcosa di strano. Qualcuno ha lasciato sulla sua auto un messaggio inequivocabile: due proiettili e un biglietto con la scritta “Stai attento, farai una brutta fine”. Una minaccia chiara e diretta. Un fatto grave, senza precedenti nella memoria recente. Un episodio inquietante che coinvolge un ispettore di polizia, che avrebbe dovuto diventare immediatamente di dominio pubblico e mobilitare l’intera città. E invece viene tenuto nascosto. Perché?

Per rispondere alla domanda, andiamo per esclusione. Se fosse stato un tentativo dell’ispettore di attirare su di sé l’attenzione dell’opinione pubblica per qualche strano motivo — come fanno certi politici che, per scrollarsi di dosso un’etichetta di collusione, si autominacciano — la notizia, in un modo o nell’altro, sarebbe venuta fuori. Così non è stato, altrimenti che senso avrebbe avuto autominacciarsi e poi nascondere la notizia? Possiamo quindi escludere questa ipotesi. Ci sentiamo di escludere categoricamente che si tratti di un avvertimento mafioso. I clan cosentini non si spingono a tanto. E poi l’ispettore non si occupa di criminalità organizzata. Si potrebbe pensare ai soliti anarchici insurrezionalisti, visto che l’ispettore si occupa di “reati politici”, ma è una pista che regge solo nelle narrazioni romanzate dei verbali della digos. La matrice del gesto non è certo politica. Anche gli anarchici si possono escludere. Un fatto personale, privato? È una possibilità, ma, a quanto pare, l’ispettore, sentito dai suoi superiori, ha chiarito di non aver mai ricevuto minacce in passato e di non avere alcun contenzioso nelle sue relazioni private che possa giustificare un gesto così grave.

E poi c’è un particolare che conferma quanto dichiarato dall’ispettore: chi ha depositato i proiettili sulla sua auto sapeva come aggirare la videosorveglianza, dato che non esistono immagini che riprendano il minacciatore, nonostante l’auto fosse parcheggiata in pieno centro cittadino. Il responsabile non è uno sprovveduto, è qualcuno che prova un livore evidente nei confronti dell’ispettore, ma per come ha agito, tutto fa pensare a una persona esperta di videosorveglianza. Uno del mestiere. Un mestiere che somiglia a quello dell’ispettore. Più che nel privato, ci sono forti possibilità che il fattaccio affondi le sue radici nell’ambiente di lavoro. E questo spiegherebbe anche il perché del silenzio sulla notizia. Sarebbe ancora più grave se venisse fuori che la pista da seguire per risalire al minacciatore parte proprio dagli uffici della questura.

Del resto, per quanto difficile sarà dimostrarlo, per capire la provenienza delle minacce basta ripercorrere i quattro anni di gestione De Marco della digos, e la soluzione del caso appare evidente. Di scontri tra bande all’interno della digos ne abbiamo già scritto, e di episodi di battibecchi, anche fisici, tra colleghi, ne è a conoscenza tutta la questura. Le minacce all’ispettore della digos sono il segnale di un degrado etico e morale che dilaga dentro l’istituzione, frutto di logiche spartitorie e di potere che con il senso del dovere non hanno nulla a che fare. Se qualcuno ha ritenuto necessario un atto così eclatante, significa che nella polizia cosentina le guerre interne sono arrivate a un livello pericoloso. E il silenzio della questura non fa che confermare la gravità della situazione.