Reggio. “L’ex assessore Tripodi e Vincenzo Giglio hanno unito ‘ndrangheta e mondo istituzionale”: le carte dell’inchiesta

“L’ex assessore Tripodi e Vincenzo Giglio hanno unito ‘ndrangheta e mondo istituzionale”

di Lucio Musolino

Fonte: Il Fatto Quotidiano

In campagna elettorale per le regionali del 2020, a Reggio Calabria era attiva “un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie di delitti di scambio elettorale politico-mafioso e di corruzione elettorale”. Il capo di imputazione è stato “tradotto” dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Walter Ignazitto: “C’era una squadra formata da tutta una serie di soggetti che hanno pianificato, progettato, in parte messo in atto un fenomeno di baratto per cui, all’elezione del candidato prescelto, sarebbe dovuto conseguire una serie di vantaggi in termini di incarichi, di favori, di riconoscimenti di vario tipo da parte di colei che si auspicava potesse essere eletta al Consiglio regionale”. È senza dubbio questo uno degli elementi chiave dell’inchiesta “Millennium”, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, che stamattina ha portato all’arresto di 97 persone indagate, a vario titolo, per associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, associazione finalizzata al narcotraffico, detenzione e spaccio di droga, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, scambio elettorale politico mafioso e detenzione e porto di armi.

Il filone politico dell’inchiesta ha dimostrato il condizionamento delle elezioni da parte della ‘ndrangheta. Le figure chiave del gruppo di faccendieri, che avrebbe fatto da ponte tra i candidati e le cosche, sono i fratelli Vincenzo e Mario Giglio, finiti oggi ai domiciliari ma già condannati in via definitiva per concorso esterno. Si tratta di due personaggi, inseriti a pieno titolo nella “Reggio bene”, con i quali la politica locale, di qualsiasi colore, è sempre andata a braccetto. Superati i guai giudiziari i due fratelli sarebbero ritornati a fare quello che hanno sempre fatto: i facilitatori. Il loro ruolo, leggendo l’ordinanza di custodia cautelare, è chiaro: i Giglio sarebbero stati il ponte di collegamento tra i candidati e i boss. Ai primi interessavano i voti, ai secondo i favori. Nel mezzo, per i pm, c’erano loro: Vincenzo e Mario Giglio che hanno formato “una vera e propria squadra”, composta da una decina di persone, riattivando “i loro rapporti con le più terribili articolazioni della mafia reggina, egemoni nel territorio sia della città che delle fasce joniche e tirreniche della provincia”. L’obiettivo era “determinare l’elezione della moglie di un politico reggino di lungo corso impossibilitato a candidarsi”. ⁠

Il riferimento è all’ex assessore regionale Pasquale Tripodi, anche lui finito ai domiciliari. Non è indagata, invece, sua moglie, Lucia Caccamo, che si è candidata nel 2020 con il centrodestra nella lista “Iole Santelli Presidente”. Il perché si legge nelle carte: “La tecnica era quella di tenere il politico di riferimento al riparo da compromettenti incontri con esponenti di ndrangheta, in modo da lasciarlo indenne da ‘seccature’ (ovvero da pregiudizi in termini di immagine presso l’opinione pubblica, ndr) e di ricercare essi stessi, sottobanco, l’accordo con la criminalità organizzata”. A ricercare “sottobanco l’accordo” con i boss ci pensava la “squadra” Giglio che, in un primo momento, aveva puntato su altri due candidati: Alessandro Nicolò e Sebastiano Romeo detto “Sebi”, rispettivamente di Fratelli d’Italia e del Partito democratico.

Entrambi, però, nel 2019 sono stati coinvolti nell’inchiesta “Libro Nero” per cui, “subentrato nel sodalizio Pasquale Tripodi, – si legge nel capo di imputazione – l’associazione operava per sostenere, in occasione delle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale calabrese del gennaio 2020, la candidatura di Lucia Caccamo”. Mentre per Nicolò, la Dda non aveva chiesto l’arresto, per Romeo aveva auspicato i domiciliari, rigettati dal gip perché “va segnalato – scrive – come la candidatura di Sebastiano Romeo alle elezioni regionali del 2020 non si sia mai concretizzata: questi veniva tratto in arresto in epoca di gran lunga antecedente anche al momento della presentazione delle liste per quella tornata elettorale ovvero nel luglio 2019. Ma vi è di più, la circostanza che Sebastiano Romeo si sarebbe candidato alle elezioni regionali del 2020 è una circostanza oggetto di una mera deduzione dell’indagato Giglio, frutto di un suo calcolo politico che non ha mai trovato conferma neanche nelle affermazioni dello stesso Romeo”.

Più delicata è la posizione di Pasquale Tripodi: secondo i magistrati, infatti, l’ex assessore regionale e Vincenzo Giglio, “attraverso una consolidata e tentacolare rete relazionale, hanno unito ‘ndrangheta e mondo istituzionale”. Come contropartita al sostegno elettorale fornito alla moglie, ai clan sono state promesse “corsie preferenziali nel disbrigo di pratiche nel settore medico”. Vincenzo Giglio che Pasquale Tripodi sono due medici che avrebbero garantito anche “utilità di vario tipo” a tutte le cosche: dai Labate “Ti mangio” ai Logiudice, passando per i Serraino, i Barreca, i Vadalà-Talia, i Piromalli, i Nirta-Strangio, gli Aquino-Coluccio, i Commisso-Muià, i Nasone-Gaietti, i Valle-Lampada, gli Iamonte, i Morabito e gli Alvaro. “L’approccio è sempre quello. – spiega il procuratore Giuseppe Lombardo – Mai l’individualismo, ma dove c’è la necessità di operare in maniera strutturata lo si fa attraverso sotto-articolazioni di scopo. In quel caso, ovviamente, l’obiettivo era quello di andare a interferire sul libero esercizio del diritto di voto”.

Oltre ai rapporti con la politica e a un traffico internazionale di cocaina, l’inchiesta condotta dai carabinieri ha fatto luce su numerose estorsioni a conferma del dinamismo della cosca Alvaro di Sinopoli e dei Barbaro “Castani” di Platì che operavano anche nei “locali” di Volpiano e Buccinasco. Se gli Alvaro imponevano la cosiddetta “messa a posto” nei confronti delle ditte che si aggiudicavano i lavori pubblici e dei commercianti intenzionati ad aprire punti vendita a Sinopoli, la cosca Barbaro pretendeva il 3% del valore di ogni appalto. Grazie alle amministrazioni pubbliche infiltrate dalla ‘ndrangheta, i clan riuscivano a ottenere informazioni sulle gare pubbliche e sullo stato dei pagamenti alle ditte aggiudicatrici. Con la compiacenza di imprenditori collusi, inoltre, riuscivano a infiltrarsi in “attività economiche collegate, quali, la vendita di mascherine e guanti all’Asp della Provincia di Reggio Calabria”.

Il filone tirrenico dell’indagine è stato curato dal procuratore Stefano Musolino che, durante la conferenza stampa, ha sottolineato “la capacità resiliente della cosca Alvaro, di restare dominante in amplissimi territori della provincia tirrenica. Una cosa che credo ci debba interrogare e debba interrogare la pubblica opinione. Questa resilienza riguarda anche soggetti che sono già stati detenuti e riguarda, quindi, la capacità della pena di modificare atteggiamenti e comportamenti di vita. Riguarda pure la capacità del tessuto sociale di individuare queste persone come un problema per lo sviluppo della comunità, piuttosto che riconoscere loro un’autorevolezza sociale che li fa diventare baricentrici all’interno di queste comunità”.

“La repressione è uno degli strumenti attraverso i quali si opera, – conclude Musolino – ma se non c’è investimento economico, investimento culturale, se non ci sono altri attori istituzionali che intervengono in quei tessuti sociali, le cose difficilmente cambieranno”. A proposito di estorsioni, nelle carte dell’inchiesta c’è pure un episodio, messo in atto da uno degli arrestati, Vincenzo Muià, ai danni di un altro indagato, Vincenzo Giglio. Quest’ultimo ha subito una tentata estorsione consistita nella richiesta di restituire i 125 mila euro che gli erano stati consegnati, anni addietro, affinché potesse corrompere un magistrato (non identificato) in grado di sistemare il processo “Crimine” in Cassazione dove era imputato il fratello Carmelo Muià, poi ucciso nel 2018. Intento che, comunque, non andò a buon fine e l’uomo fu condannato alla pena di 8 anni. L’operazione “Crimine” è stata citata più volte dal procuratore Lombardo secondo cui l’inchiesta “Millennium” ha riattualizzato gli assetti emersi nella vecchia indagine del 2010: “Sono passati 15 anni da allora ma la struttura non è cambiata. – ha affermato il magistrato – La ‘Provincia’, come componente apicale della ‘Ndrangheta, continua a esistere. Loro sono ancora qui ma ci siamo anche noi a dare risposte che non sono per niente scontate”. Risposte che non sarebbero arrivate senza le intercettazioni telefoniche e telematiche che, per il procuratore, sono “uno strumento indispensabile per aggiornare la fotografia di cos’è la ‘Ndrangheta in questo territorio, in Italia e a livello mondiale. Se ci fosse stato un solo carabiniere ad aver svolto l’attività di intercettazione effettuata nell’ambito delle varie investigazioni congiunte che il mio ufficio ha coordinato avrebbe ascoltato intercettazioni per 233 anni. Questo ci dà la misura del lavoro che è stato fatto”.

Un lavoro che, senza le intercettazioni, non avrebbe consentito ai carabinieri di fare luce, seppur parzialmente, su un cold case di 38 anni fa e, in particolare, sul ruolo avuto da un indagato, Michele Grillo, in un sequestro di persona avvenuto il 27 agosto 1977 a Brancaleone e conclusosi con la morte della vittima, Maria Angela Passiatore, moglie di un imprenditore milanese che si trovava in vacanza in Calabria. La donna era stata sequestrata fingendo una rapina nella casa dove stava cenando. La Passiatore era molto agitata e i carcerieri di Platì, mentre l’indagato si era recato in farmacia, “non riuscendo a controllarla, la colpirono con diversi colpi di bastone, procurandone la morte”. Scrivono così i pm dopo aver riascoltato un’intercettazione del 2012 in cui Michele Grillo disse: “Ho una cosa, un ricordo brutto! – sono le sue parole riportate nell’ordinanza di custodia cautelare – Con una signora, guarda… S’è presa di panico!… ero andato a prendere le medicine, che me li dava… l’hanno ammazzato… Gli ho dovuto dire che è caduta e non la guastavo a nessuno (non facevo torto) e l’hanno ammazzata bastardi e cornuti! L’hanno ammazzata! A bastonate! In testa!”.