Gennaro “Rino” “Ringhio” Gattuso è l’uomo del giorno. Tutta l’Italia del calcio si affida a lui per risollevare le sorti della Nazionale e più in generale agli “azzurri per l’azzurro” come da slogan confezionato per uscire fuori dall’impasse. E Rino ha tanta voglia di cimentarsi in questa nuova avventura. Il nostro omaggio non può essere che quello di ripercorrere le tappe salienti di quello che è il legame indissolubile con la sua terra, con la Calabria e in particolare con Schiavonea, descritto in maniera bellissima nella sua biografia ufficiale: “Se uno nasce quadrato non muore tondo”.
IL FIGLIO DI MASTRO RINO (https://www.iacchite.blog/luomo-discende-da-gattuso-il-figlio-di-mastro-rino-da-schiavonea/)
GATTUSO E SCHIAVONEA (https://www.iacchite.blog/gattuso-e-schiavonea-la-spiaggia-la-prima-formazione-e-la-gara-a-dieci-gol-con-il-supertele/)
JONICA SPORT, LA PRIMA SQUADRA “UFFICIALE” E MASTRO TOTONNO
A Schiavonea dicono che siamo una mola, una parola che sta a indicare che siamo tutti uniti, che siamo un’unica, grande, vera famiglia. C’è anche una canzone, Schiavonea sim’ ‘na mola, l’ha scritta un vecchio amico che ora lavora al porto, la cantiamo ogni volta che torno a casa. Il testo si rifà ai tempi andati, alla mia infanzia: quando ero bambino in paese non c’erano segreti, tutti erano amici di tutti, era un po’ come avere migliaia di fratelli e migliaia di genitori. Ragazzini, adulti, anziani, non c’erano distinzioni d’età o di sesso, era un’epoca in cui si poteva davvero dormire con la porta aperta senza la paura che qualcuno ti entrasse in casa, se ti mancava qualcosa bastava fare un fischio al vicino, che magari poi si fermava in cucina a fare quattro chiacchiere e bersi un bicchiere di vino. Ora, purtroppo, qualcosa è cambiato….
Io mi sento ancora parte di quella mola, anche se per forza di cose, ormai sono distante dalla realtà di Schiavonea, visto che ci torno solo quattro o cinque volte all’anno. Ma nelle mie vene continua a scorrere sangue calabrese al cento per cento e la mia anima è intrisa di quella cultura e di quei valori che sono stati alla base della mia infanzia.
Del resto se sono diventato un calciatore, molto lo devo a quelle persone che sono state fondamentali nella mia formazione. In primis, e non mi stancherò mai di ripeterlo, mio padre. Lui è stato il primo a credere in me, ed è stato il mio primo allenatore. Anche se non giocano ancora in nessuna squadra ufficiale, ricordo che mi obbligava ugualmente ad allenarmi, mi faceva venti o trenta volte al giorno le scale di casa di corsa, fino al quarto piano, oppure mi diceva di andare in palestra a fare esercizi. “Ma che ci vado a fare, papà, manco mi fanno giocare al campo!”. Protestavo. E lui, inflessibile: “Tu allenati, non ti preoccupare”. Alla fine ha avuto ragione; a volte mi domando se fosse un mago o un indovino che aveva già previsto il mio futuro. Anche perché, poco prima dei dodici anni, arrivò, finalmente, la mia prima occasione di misurarmi con il calcio ufficiale, nella Jonica Sport, una delle squadre di Schiavonea.
Merito pure di un ometto che all’epoca era già anziano, e al quale voglio ancora un bene dell’anima: Mastro Totonno (Ricco di cognome, ndr). A Schiavonea è una figura quasi mitologica, tutti i bambini del posto che hanno giocato a calcio lo devono a lui. Se in paese esiste un campo è tutta opera sua, lui che di giorno faceva il muratore e di sera si dedicava anima e corpo al calcio e ai ragazzi. Lo vedevi arrivare a bordo della sua motoretta con quei capelli bianchi scompigliati, pareva Babbo Natale, raccattava su tutti i ragazzi dalla strada e li portava al campo. Per molti è stato come un secondo padre. Era un tipo duro, un sergente di ferro, con lui non potevi sgarrare. Per lui non era importante solo come ci si allenava, anche perché il calcio non era il suo mestiere e di tattiche e preparazione atletica, onestamente, non ne capiva un granché: Bisognava meritarsela anche fuori dal campo la conferma, non ci si poteva permettere di fare i teppistelli in giro, altrimenti Totonno andava su tutte le furie e ti lasciava senza pallone. Fu questo l’inizio della mia avventura nel calcio “importante”, le prime partite, i primi campionati.
Mi facevano giocare terzino destro, talvolta scendevo in campo pure con quelli più grandi di me, un leit motiv che mi avrebbe poi accompagnato per gran parte della carriera. Le esperienze più divertenti e incredibili erano le trasferte. Ricordo che una volta andammo a giocare in un paese vicino ad Acri, contrada La Mucone, che raggiungerlo era un’impresa. Una strada lunghissima, tutta curve, su una macchina dove stavamo in sei o in sette, con gente che fumava e urlava: e guai a te se chiedevi se ci si poteva fermare a fare pipì, potevi pure rischiare di prendere dei ceffoni. Tutte queste cose mi sono rimaste dentro, le ho ancora impresse nella mente come se fosse ieri…









