Gli analisti finalmente spiegano i “trucchi” del cosiddetto over tourism del quale si riempiono la bocca debosciati parassiti che giocano a fare i… presidenti di Regione.
“L’Italia agli italiani”: ma ora a espellerci sono orde di turisti
di Nico Piro
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Milioni di stranieri ci invadono arrivando a bordo di carrette dei cieli, i cui sedili sono stati rimpiccioliti per farci stare più persone, dove si è costretti a pagare acqua e cibo a caro prezzo, e se in valigia porti un etto in più devi chiedere un’ipoteca. Un traffico finanziato da entità chiamate Regioni che imbottiscono di milioni compagnie aeree straniere (217 milioni nel 2021 solo per RyanAir). Roba che, tra le altre cose, scredita i complottismi su Soros che paga gli scafisti! Soldi e sconti che arrivano anche da para-pubbliche società di gestione aeroportuale altrimenti destinate ad avere piste vuote nella “nazione” degli scali costruiti spesso a un’ora di distanza l’uno dall’altro (Comiso e Catania; Palermo e Trapani; Brescia e Verona, Bologna e Forlì) dove l’uno cannibalizza l’altro.
Una volta usciti dagli aeroporti con autobus da sei euro la massa di stranieri irrompe in centro e occupa le città d’arte, espellendo gli italiani dalle proprie case (negli ultimi 10 anni, il centro di Roma ha perso quasi il 40% di residenti). Se l’italianità resiste perché il 75% delle nostre famiglie possiede una casa di proprietà, la restante parte che cerca un tetto (perché non può pagare un anticipo e/o ricevere un mutuo) si ritrova espulsa. Sfollati che dal centro città si spostano sempre più lontano per trovare una casa decente. “Il tuo b&b, il mio sfratto”. “Booking mafia”. Scritte sui muri forse vergate da studenti fuori sede in cerca di una stanza, genitori separati o giovani che vogliono andarsene da casa di mammà.
Gli immobili invasi sono resi riconoscibili da grandi lucchetti a combinazione agganciati a balaustre e pali della luce per fare in modo che gli invasori senza alcun controllo possano entrare nei condomini dove resistono gli ultimi autoctoni e rendere la loro vita impossibile (magari si decidono a vendere?) tra valigie trascinate sulle scale all’alba o feste alcoliche notturne.
L’orda espelle gli italiani dai ristoranti con un subdolo meccanismo a noi sconosciuto: la prenotazione. Con mesi d’anticipo fissano tavoli anche in locali un tempo di quartiere ma resi popolarissimi da una serie di finte recensioni social. Gli stranieri contaminano anche la cucina italiana perché qualsiasi scadente piatto venga servito loro diventa “Look at that! Delicious” ma soprattuto “So cheap!” (economico) perché a casa loro costa tutto il quadruplo. Talmente cheap che i ristoratori raddoppiano i prezzi: tanto i clienti (statunitensi, nordeuropei, britannici) non diminuiscono.
Poco importa che così per gli italiani, i cui salari sono fermi da trent’anni, andare al ristorante diventa proibitivo se non impossibile. Esattamente come le ferie in paeselli della penisola un tempo accessibili ma ormai trasformatisi in borghi: meta preferita per gli invasori perché for locals (gli italiani vanno cacciati dovunque si rifugino), con pensioni diventate luxury & wellness retreat e stabilimenti balneari che offrono mindfulness experience non più solo un ombrellone e una sdraio. Attività che finalmente fioriscono, dopo la crisi causata dal reddito di cittadinanza che impediva lo sfruttamento del precariato da Jobs act. Legittimati da Open to Meraviglia, campagna che ha convinto persino la venere di Botticelli a uscire dalla cornice per farsi un selfie, i turisti trasformano il patrimonio culturale italiano in sfondi per autoscatti autoreferenziali. Sarebbe stato più utile indirizzarli verso le aree interne ormai abbandonate ma del resto l’obiettivo era “l’Italia agli Italiani”, la difesa dei confini e della “razza bianca” dagli sbarchi dei poveri cristi neri sui barconi. Poco importante se l’invasione quotidiana è un’altra e tocca l’apice con un miliardario straniero che si affitta la laguna, lasciando fuori casa persino dei venezianissimi residenti fino al giro di bomboniere. È il trionfo del sovranismo, ma all’italiana