“Se Marcello Manna è stato assolto, allora lo scioglimento del Comune di Rende non aveva motivo d’essere”. Un sillogismo tanto diffuso quanto sbagliato, che gira da poche ore dalla sentenza del processo “Reset” che ha assolto in primo grado l’ex sindaco di Rende Marcello Manna. Perché confonde — forse volutamente — due piani che in diritto sono distinti, separati e non sovrapponibili: quello penale e quello amministrativo.
Continuare a sostenere questa tesi significa voler tenere insieme due logiche incompatibili. È un trucco retorico semplice, ma profondamente scorretto. Il processo penale riguarda esclusivamente le responsabilità individuali di una persona. Lo scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose, invece, è un atto amministrativo che si fonda su elementi oggettivi e documentati, raccolti da una Commissione d’accesso che ha lavorato per mesi e mesi e valutati da una prefettura e persino dal Viminale, che dimostrano un rischio concreto e attuale per la regolarità e la trasparenza dell’azione amministrativa.
Lo scioglimento di un Comune per mafia, è bene ribadirlo, non ha bisogno di una condanna. Non è una sanzione penale ma una misura amministrativa e preventiva, prevista dall’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali. Si applica quando vi siano elementi concreti, attuali e rilevanti di collegamento tra l’amministrazione e la criminalità organizzata, anche solo in termini di condizionamento o rischio per la tenuta democratica dell’ente. Questo principio è stato confermato più volte dalla giurisprudenza amministrativa. E infatti, nel febbraio del 2025, il TAR del Lazio ha respinto il ricorso del Comune di Rende, confermando la piena legittimità dello scioglimento.
Al momento del provvedimento, il quadro era già gravissimo: un sindaco sotto inchiesta per scambio elettorale politico-mafioso, un’amministrazione permeabile, affidamenti sospetti, relazioni pericolose, e un contesto in cui la criminalità organizzata risultava in grado di incidere, direttamente o indirettamente, sulle dinamiche pubbliche.
Dire oggi che l’assoluzione di Manna “dimostra” l’ingiustizia dello scioglimento significa ignorare (o peggio, manipolare) la logica stessa del sistema di prevenzione dello Stato. Non è la sentenza su un singolo a determinare la sorte di un’intera amministrazione, ma il complesso delle dinamiche che ne minano la trasparenza e l’autonomia.
Il punto non è se Manna abbia stretto o meno un patto con i clan, ma se l’apparato da lui guidato abbia favorito un clima in cui quel patto poteva essere utile, auspicabile, o addirittura scontato. Ed è proprio per questo che lo scioglimento non è stato un atto persecutorio, ma una necessità democratica.
Chi oggi rivendica il teorema “assoluzione uguale reintegrazione morale” dimentica che la giustizia penale assolve solo le persone. La storia, invece, giudica i contesti. E quello del Comune di Rende, negli anni che hanno preceduto il commissariamento, è stato un contesto marcio. Anche senza sentenze. Anche senza colpevoli.









