CROTONE VOLAVA. STORIA DI UN AEROPORTO CADUTO E DI UN TERRITORIO CHE RESTA A TERRA
Fonte: U’Ruccularu
Capitolo 1 – Quando volare era possibile: la nascita e l’illusione dell’aeroporto Sant’Anna
Crotone è una città che guarda il mare e sogna il cielo. Ma da oltre ottant’anni, tra i sogni e la realtà si è frapposta una pista d’atterraggio, quella dell’aeroporto Sant’Anna. Una striscia d’asfalto nata per la guerra e mai decollata davvero per la pace.
Eppure, tutto era iniziato con un’idea potente: far volare il Sud, collegarlo al resto d’Italia, portare qui un turismo di qualità.
L’aeroporto Sant’Anna fu inaugurato nel 1941, durante la Seconda Guerra Mondiale. Non per servire passeggeri, ma per servire la guerra: lo scalo militare n. 434, concepito per difendere (o colpire) da una posizione strategica del Mediterraneo. Gli impianti chimici di Montecatini e Pertusola Sud, che producevano nitrati e acidi per gli esplosivi, erano lì accanto: una sinergia bellica perfetta.
Talmente perfetta che la Royal Air Force lo bombardò pesantemente.
Finita la guerra, come spesso accade nel Mezzogiorno, le infrastrutture rimasero lì: semidistrutte, abbandonate, poi lentamente riciclate per usi civili.
Così Sant’Anna iniziò a cambiare pelle. Dal 1963 in poi, l’aeroporto iniziò a ospitare voli di linea: Roma, Bergamo, Napoli, Corfù. Atterravano e decollavano gli aerei di una compagnia aerea che a Crotone diventerà leggenda e tragedia: ITAVIA.
L’era di Aldo Davanzali: quando Crotone sembrava New Deal
Fu negli anni Sessanta che la pista di Crotone vide scendere gli aerei di un visionario. Si chiamava Aldo Davanzali, imprenditore con la testa nei cieli e i piedi ben piantati sul territorio.
Non era un sognatore qualsiasi. Aveva studiato diritto della navigazione, gestiva cantieri marittimi, costruiva porti e alberghi. E poi, un giorno, fondò una compagnia aerea: la Itavia. Scelse Crotone come base operativa, con voli regolari e un progetto chiaro: farne il cuore del suo esperimento industriale, aereo, turistico.
Ma Davanzali non si fermò agli aerei: Diede vita al progetto del Costa Tiziana Hotel, uno dei più ambiziosi resort dell’epoca. E contribuì allo sviluppo di villaggi turistici come il Valtur di Isola Capo Rizzuto.
L’idea era semplice e geniale: chi arriva in volo, dorme in un hotel, vive il territorio, consuma, crea economia. Un’economia integrata, dove turismo e trasporti si sostengono a vicenda.
Crotone, per un breve periodo, sembrò crederci davvero.
I primi scricchiolii: quando l’aeroporto era ancora un’avanguardia
Nel 1967, fu installato un sistema ILS , uno strumento che permette atterraggi anche in condizioni meteo difficili.
Nel frattempo, il volo IH501 partiva ogni mattina alle 07:30 per Roma, per poi proseguire verso Bergamo come IH778. Itavia collegava anche Pescara, Napoli, Corfù. Una compagnia vera, un network credibile.
Ma già allora qualcosa scricchiolava. Itavia era pesantemente indebitata molto prima di scomparire. La visione di Davanzali, pur lucida, faceva i conti con la dura realtà dei conti in rosso.
La compagnia cresceva, ma a debito. Bastava un urto esterno per far crollare tutto.
E quel colpo arrivò. Un colpo violento, drammatico, invisibile: il disastro di Ustica.
Capitolo 2 – Ustica: l’aereo che non tornò mai. E il Sud che restò a terra
Era il 27 giugno 1980. Il volo IH870 dell’Itavia, un Douglas DC-9, scompare dai radar e si inabissa nel Tirreno al largo di Ustica. A bordo: 81 persone. Nessun superstite. Nessuna risposta. Solo silenzi, depistaggi, teorie.
Quel volo non partiva da Crotone, eppure da quel giorno la città perse le ali.
Il disastro di Ustica è la ferita invisibile che ha segnato la fine del sogno aeroportuale crotonese. Itavia, la compagnia che aveva fatto di Crotone il proprio bastione, chiuse i battenti pochi mesi dopo. Non per un errore contabile, ma per un clima di sospetti, sabotaggi, colpe mai ammesse.
Già in crisi economica, Itavia fu travolta da un’accusa implicita di negligenza. Ma la verità era un’altra: secondo le sentenze, il DC-9 fu colpito da un missile, probabilmente durante una manovra militare non dichiarata nel cielo italiano. Una guerra non ufficiale. Una guerra che abbatté un aereo civile.
E insieme a quell’aereo, cadde un intero modello di sviluppo.
Effetto domino: quando un missile colpisce anche chi non era a bordo
Aldo Davanzali vide la sua compagnia affondare insieme al DC-9. La sua visione turistica per Crotone fondata su voli stabili e ospitalità moderna fu distrutta da “atroci, vergognose menzogne”, come recitano le parole della famiglia riportate in una sentenza della Corte d’Appello di Roma.
Nel 2020, quello stesso tribunale riconobbe ai familiari un risarcimento da 330 milioni di euro: fu lo Stato, coi suoi silenzi, a rovinare Itavia.
Nel frattempo, i dipendenti dell’Itavia vennero smistati, in parte a Lamezia Terme. Crotone, che era stata sede e snodo, fu derubata nell’ombra. Una notte, senza che nessuno se ne accorgesse, la rappresentanza della compagnia fu trasferita a Catanzaro. Nessun annuncio. Nessuna resistenza.
Solo un aeroporto svuotato, un Costa Tiziana che restava lì, elegante e vuoto, e un territorio che si svegliava senza più voli né futuro.
Costa Tiziana, Valtur e l’albergo per turisti che non arrivarono
Il Costa Tiziana Hotel, costruito nel 1980, era il fiore all’occhiello di un’idea di turismo borghese, moderno, raffinato. Poco più in là, ad Isola Capo Rizzuto, sorgeva un altro esperimento ambizioso: il villaggio Valtur, pensato per una clientela colta, in cerca di mare e cultura. Erano strutture vere, non sogni: 112 camere, 85.000 mq di verde, standard da villaggio-vacanza europeo. Eppure mancava una sola cosa: chi ci arrivava.
Dopo il crollo di Itavia, l’aeroporto rimase in silenzio per anni. Gli aerei non volavano più. I charter arrivavano col contagocce. Il turismo restò sulla carta, mentre l’erba cresceva lenta sulle piste e nei cortili degli hotel.
Non solo Ustica: scorie, disoccupazione e la reputazione avvelenata
Ma sarebbe sbagliato dire che solo Ustica ha affondato il turismo crotonese.
Ustica fu l’inizio, lo shock. Ma poi ci si mise l’altra verità: quella tossica, quella industriale.
Perché a Crotone, accanto alle spiagge, c’erano le scorie. L’eredità di Pertusola, di Montedison, dell’industrializzazione mal digerita. I cumuli di fosfogessi, le terre contaminate, l’amianto.
I turisti che cercavano il mare, trovavano titoli di giornale: “Siti inquinati”, “Bonifica mai iniziata”, “Qualità della vita: Crotone ultima in Italia”.
I collegamenti mancavano. La Strada Statale 106, chiamata ancora “la strada della morte”, era ed è una ferita aperta. Il porto era isolato. I treni, una chimera.
E intanto il marketing territoriale era un miraggio: niente coordinamento, niente marchio, niente visione unitaria. Solo una somma di sforzi isolati. Tutti insufficienti.
Capitolo 3 – Dalle ceneri di Itavia al presente: il tempo lungo della transizione
Quando Itavia scomparve, a Crotone non rimasero che le piste vuote, le sale d’attesa silenziose, e una città in attesa di qualcosa che non tornava mai. Gli anni ’80 furono lunghi e stanchi. Il traffico civile era un miraggio, qualche charter di passaggio, un aeroclub locale, e tanti silenzi. La nuova regina dei cieli calabresi era ormai un’altra: Lamezia Terme, cresciuta con benedizioni politiche e investimenti decisi.
Crotone, invece, perdeva tutto: anche la rappresentanza Itavia, spostata con discrezione a Catanzaro. Un furto burocratico nella notte. Eppure, nel 1996, qualcuno ci provò. Tornarono i voli. Tornò un collegamento per Roma, firmato AirOne. Qualcuno tornò a sognare.
Riapertura e illusioni: l’alba che non fu giorno
Nel giugno 1996 lo scalo di Sant’Anna venne riaperto al traffico commerciale. AirOne introdusse un volo per Roma, poi ne arrivò uno per Milano. Nel frattempo, erano partiti i lavori per rinnovare l’aerostazione: una sala arrivi, più spazio, più ambizioni.
Tra il 2000 e il 2004, oltre 3 milioni di euro vennero investiti per ristrutturare l’aeroporto. E nel 2003, ben dieci vettori operavano dallo scalo crotonese. C’erano Alitalia, Air Alps, AirOne. Sembrava fatta.
Ma a Crotone, ogni volo è anche una preghiera. E quella preghiera, nel 2015, si spezzò di nuovo.
Il fallimento del 2015: processi, debiti e fantasmi
Il 15 aprile 2015, la società di gestione dell’aeroporto, Aeroporto Sant’Anna S.p.A., fallì.
Un crac pesante, figlio di anni di debiti, scelte gestionali discutibili, e un contesto regionale ingrato.
La Procura di Crotone aprì un’inchiesta. Otto dirigenti vennero rinviati a giudizio per bancarotta semplice. Ma anni dopo, tutti assolti: “il fatto non sussiste”.
Intanto emergeva un altro nodo: un debito da 35 milioni di euro che la società Soakro doveva alla Sorical. Una montagna di debiti pubblici e intrecci tra partecipate, comuni e Regione. Ma tutto questo lo spiegheremo meglio più tardi, nel post a seguire. intanto…
Da SAGAS a Sacal: il puzzle calabrese
Per non far morire lo scalo, nacque SAGAS S.p.A., una nuova società voluta da Comune di Crotone, Regione Calabria e Isola Capo Rizzuto. Obiettivo: salvare il salvabile, ottenere una concessione da ENAC, trovare un partner privato. Ma alla fine arrivò Sacal, la società che già gestiva Lamezia. Dal dicembre 2018, Sacal assume la gestione trentennale dell’aeroporto di Crotone. E qui inizia la stagione più recente, tra nuovi numeri e nuove rotte. Un presente che respira: numeri in crescita, ma col fiato corto.
Nel 2025, lo scalo Sant’Anna segna una ripresa notevole. +43% di passeggeri a marzo, +34% nel primo semestre. Nel solo 2025, sono stati registrati 155.823 viaggiatori. L’obiettivo Sacal? Raggiungere i 500.000 entro il 2027.
Arrivano voli nuovi: Ryanair vola su Milano, Bologna, Torino, Treviso. Sky Alps assicura la continuità territoriale con Roma. E per l’estate 2025, arriva anche Dusseldorf, primo volo europeo.
Ma la domanda resta: questa crescita è strutturale o è solo sussidiata?
Perché se tutto dipende da incentivi pubblici, rotte agevolate e bonus regionali, il castello può crollare ancora al primo cambio di vento politico. E soprattutto: cosa c’è fuori dall’aeroporto?
Capitolo 4 – Un aeroporto senza terra: il territorio che non connette
L’aeroporto Sant’Anna oggi funziona, i voli aumentano, i numeri crescono.
Ma c’è un problema di fondo, gigantesco: dove porta tutto questo traffico aereo? E come ci si arriva?
Un aeroporto non è un’isola, e soprattutto non può funzionare da solo. Ha bisogno di una rete. Di strade, treni, porti. A Crotone, però, questa rete non esiste. O meglio: esiste solo sulla carta.
E così, chi arriva in volo a Sant’Anna atterra nel nulla. Una bellezza isolata, un terminal circondato dal vuoto.
Il Porto fantasma: isolato, mal collegato, dimenticato
Il porto di Crotone è un paradosso. Esiste. È lì. Ha fondali profondi fino a 9 metri, potenzialmente estendibili. Ma è escluso dalla rete dei porti strategici nazionali. È diviso in due: un porto vecchio per barche e pescherecci, e un porto nuovo con strutture industriali in disuso.
Non ha collegamenti ferroviari. La rete ferroviaria nazionale non lo raggiunge.
La SS106, che dovrebbe portare merci e persone da e verso il porto, è una trappola per chi ci prova.
E così il porto non ha container, non ha passeggeri, non ha futuro. Ha solo rinfuse: roba sfusa, niente logistica moderna. Mentre Gioia Tauro esplode, Crotone implode.
La SS 106: la ferita sempre aperta del territorio
La Statale 106 è la vera arteria dell’isolamento crotonese. Chiamata da decenni “la strada della morte”, collega a fatica la costa ionica. Nel 2025, il governo Meloni ha promesso 3 miliardi di euro per raddoppiare alcuni tratti. Ma Crotone resta scoperta perché Il tratto Corigliano-Crotone è il grande buco. L’anello mancante. Servirebbero altri 4,5 miliardi per chiudere il cerchio. Ma nessuno li ha messi. E forse, nessuno li metterà. La SS106, così com’è, taglia fuori Crotone da ogni sviluppo possibile.
Un aeroporto che vola, ma senza strada. Un porto che affonda, senza binari. Un territorio che chiede connessioni, e riceve promesse. Infrastrutture a compartimenti stagni.
Ecco il vero dramma: le infrastrutture non si parlano. L’aeroporto cresce. Ma il porto muore. La strada non collega. I treni non arrivano. È il Sud che non fa sistema, che progetta a spezzoni, senza visione d’insieme.
Ogni investimento è un’isola. Ogni struttura un capolinea.
E mentre si celebrano i +43% di passeggeri, nessuno spiega come portarli al mare, alle città, ai parchi archeologici, agli hotel. Perché tra l’aeroporto e il turismo, manca tutto il resto.
E allora la domanda torna, insistente: A cosa serve un aeroporto, se il territorio attorno non lo accompagna?
Capitolo 5 – Sant’Anna, l’aeroporto dimenticato che guarda la guerra
C’è un altro modo per guardare l’aeroporto di Crotone. Non solo come scalo civile, ma come infrastruttura militare latente. Perché questa pista, costruita nel 1941 per scopi bellici, non ha mai smesso davvero di essere una base strategica. E oggi, in un Mediterraneo che ribolle di tensioni, potrebbe diventare molto più che un aeroporto di provincia.
Mediterraneo, il nuovo fronte: La Russia è in Libia.
Nel 2024, aerei militari russi sono stati osservati in almeno tre basi libiche, con nuove piste, difese potenziate, edifici militari. Tutto pagato da Mosca. Un messaggio chiaro: il Mediterraneo è diventato terreno di gioco geopolitico. E mentre il sud Europa guarda, la NATO si muove.
L’Italia, nazione di frontiera e membro attivo, rafforza la sua presenza. Sigonella, Trapani, Brindisi, Gioia del Colle, Lampedusa: le basi ci sono, ma il traffico aumenta, la pressione anche.
E allora la domanda sorge spontanea: Crotone può diventare una nuova casella della partita?
Dalla Royal Air Force al 2° Reggimento “Sirio” L’aeroporto Sant’Anna è già oggi usato dall’Esercito italiano.
Ospita esercitazioni, supporta la protezione civile, è base logistica per il 2° Reggimento Aviazione “Sirio” di stanza a Lamezia. Serve operazioni antincendio, ma potrebbe servire molto di più.
In passato, gli Stati Uniti avevano chiesto di usare Crotone come base NATO.
Avrebbero voluto farne un hub mediterraneo per alleggerire il traffico di Sigonella. Ma la proposta di esclusività americana fu respinta. Un’occasione rifiutata o una sovranità preservata? Poi il compromesso: il CARA di sant’Anna, ma questa è un’altra storia, un altro racconto, un’altra inchiesta.
La pista c’è, la posizione pure
Il Piano Nazionale degli Aeroporti ha riconosciuto da tempo che Sant’Anna ha tutte le caratteristiche per diventare “riserva di capacità” per il traffico del Sud Italia. La pista lunga, la posizione centrale nel bacino orientale del Mediterraneo, la storica vocazione duale civile-militare: tutti elementi che fanno gola.
In un futuro di crisi internazionali e bisogno di flessibilità logistica, Crotone potrebbe tornare utile. Molto utile. Ma a quale prezzo?
Lo sviluppo civile contro l’ombra militare
C’è una tensione sotterranea: quella tra lo sviluppo turistico e l’interesse militare.
Per crescere davvero, l’aeroporto ha bisogno di più voli, più strutture, più visibilità. Ma se tornasse a servire fini militari, quale sarebbe il futuro di quel Costa Tiziana ancora in cerca di rinascita?
La Calabria può permettersi di sacrificare un’infrastruttura civile per farne una base militare?
Oppure, nel solco di una nuova visione, si può immaginare un uso duale intelligente, dove emergenza, protezione civile, difesa e turismo convivono? La geopolitica spinge. Il territorio aspetta. E l’aeroporto è lì, silenzioso, come un cavallo di Troia moderno. Pronto a ripartire. O a essere reclamato da altri.
Capitolo 6 – la pista lunga del futuro
L’aeroporto Sant’Anna di Crotone è una metafora perfetta del Sud: nato per servire, cresciuto tra contraddizioni, mai veramente libero di scegliere il proprio destino. È stato militare, poi civile. È stato fulcro, poi periferia. È stato sogno, poi illusione.
Ha avuto visioni coraggiose (quelle di Aldo Davanzali), ma è stato tradito dalla storia (Ustica), dall’economia (il fallimento Itavia), e da una politica infrastrutturale che non ha mai davvero creduto in Crotone.
Ogni volta che lo scalo ha provato a rialzarsi, si è scontrato con qualcosa: prima con i missili invisibili che abbatterono un aereo e un’azienda, poi con l’assenza di strade degne, con un porto tagliato fuori,
con un’immagine pubblica compromessa dalle scorie e dall’abbandono, con una classe dirigente troppo spesso incapace o distratta.
Eppure oggi Sant’Anna vola. Non alto, non in modo indipendente. Ma vola. I numeri crescono. Le rotte si moltiplicano. I passeggeri tornano. Per la prima volta da decenni, l’aeroporto non è un ricordo, ma una promessa. Ma le promesse, a Crotone, fanno rumore solo quando diventano disattese.
Per questo oggi serve cautela, lucidità e visione.
Cosa ci insegna Sant’Anna?
Che nessuna infrastruttura può vivere da sola. Un aeroporto senza strade, senza porto, senza una rete attorno, è solo un terminale isolato. E che nessuna visione, per quanto ambiziosa, può resistere se il sistema attorno non regge. Servono investimenti, sì. Ma servono soprattutto interconnessioni, strategia, pianificazione unitaria. Il turismo non lo fa un volo, lo fa un territorio che accoglie, funziona, convince.
E poi c’è la geopolitica.
Sant’Anna, oggi, è anche una risorsa strategica potenziale. Ma affidare il futuro solo a uno scenario militare sarebbe un errore. Crotone ha bisogno di crescita civile, sostenibile, inclusiva. Non di tornare base per guerre che arrivano da lontano. Crotone è ancora in tempo per invertire la rotta. Ma serve che qualcuno guardi la mappa, colleghi i punti, e smetta di pensare in compartimenti stagni. Il Sud non può più permettersi aeroporti senza strade, porti senza ferrovie, città senza visione. La pista è lì. È lunga. Aspetta solo che qualcuno decolli davvero.









