Roberto Occhiuto si è dimesso. Parola grossa. Si è sfilato la giacchetta da presidente della Regione Calabria come un tizio che cambia camicia a fine giornata. Ma la poltrona da commissario della sanità, quella che maneggia milioni, nomine e potere vero, quella se l’è tenuta stretta come un cinghiale attaccato all’osso. Come si dice a Cosenza: è esciùtu d’a porta ed è trasùtu d’a finestra.
Altro che etica, responsabilità, senso delle istituzioni. Qui siamo al teatro dell’assurdo, scritto da Kafka e diretto da Totò. Sotto inchiesta per corruzione, travolto da un avviso di garanzia come fosse una cartella esattoriale qualunque, Occhiuto si presenta in video, sguardo mesto da finto martire, e con la voce tremula (una volta quelli come lui li chiamavano “conigli mannari” oggi beh… lasciamo stare…) annuncia: “Mi dimetto… ma tranquilli, torno subito”.
Già, perché nel frattempo ha lanciato la sua ricandidatura. Un capolavoro politico: si dimette perché “non vogliono firmare più niente”, ma resta il commissario straordinario della sanità calabrese, un ruolo che dovrebbe essere tecnico e neutrale. Invece resta in carica col cappello ben calcato in testa, mentre gli ospedali chiudono, i medici scappano, e le barelle diventano letti stabili nei pronto soccorso.
IL TRUCCO È VECCHIO, MA FUNZIONA
Occhiuto non è uno sprovveduto. Si è dimesso da dove non poteva più comandare, e ha tenuto saldo ciò che gli garantisce ancora potere, nomine e visibilità. Come dire: “Mi dimetto da sindaco perché la città mi odia, ma resto a gestire i cantieri e i soldi del PNRR”… Chi mai direbbe di no?
Intanto la Calabria continua a curarsi al Nord o nella speranza. Azienda Zero è diventata Azienda Fantasma, mentre i cubani vengono sfruttati e i giovani medici emigrano come negli anni ’50. Però lui resta lì, a vigilare. Anzi, a “commissariare”. Una parola che in Calabria significa solo una cosa: potere senza fastidi.
LA FARSA DEMOCRATICA
Ma non basta. Il nostro si ricandida pure. Perché nella testa di Occhiuto il processo popolare vale più di quello giudiziario. Vuole vincere le elezioni per dire: “Vedete? Il popolo mi ama, quindi sono innocente!”. Un capolavoro di propaganda da regime sudamericano, con le urne usate come detersivo per ripulire la fedina. Nel frattempo, chi doveva controllare — i partiti, il governo, perfino il Quirinale — tutti zitti o complici. Perché la sanità calabrese non è solo una ferita aperta: è una torta da spartire.
DULCIS IN FUNDO…
Occhiuto non è caduto. Si è fatto da parte per prendere la rincorsa. Non ha lasciato, ha fatto finta. Ha sacrificato la carica simbolica per tenere quella sostanziale. I Calabresi che se lo vedranno di nuovo tra le palle alla prossima tornata elettorale, dovrebbero chiedersi: ma se nessuno della tua Giunta regionale si fida più di te e non firma più nulla… perché dovremmo rivotarti???
E mentre lui gioca a Risiko coi ministeri e i voti, in Calabria si continua a morire in silenzio, magari in un’ambulanza ferma in attesa di un letto.
Il commissario resta. Il paziente, anzi i pazienti, invece, muoiono. Il triste elenco aumenta di giorno in giorno. Il prossimo a dimettersi dovrebbe essere il pudore. Ma, in Calabria, quello ha già fatto le valigie da tempo.









