La Calabria, i treni e le strade: il Ponte è una divagazione in un terra di serie B
di Tommaso Greco
14 agosto 2025 • 18:03
Fonte: Domani
Fino a quando siciliani e calabresi non avranno possibilità di spostamento migliori di quelle attuali, il Ponte sarà solo una colossale distrazione per non affrontare le cause delle inaccettabili disuguaglianze dei territori. La situazione rischierà di peggiorare. Il il primo merito del Ponte è in realtà quello di far emergere la questione, fino a oggi rimossa, dei gradi della cittadinanza e dei diseguali diritti degli italiani che abitano i diversi territori del Paese
Le considerazioni svolte da Carlo Trigilia su questo giornale il 12 agosto scorso invitano a ragionare intorno al Ponte stando sul terreno di chi vuole realizzarlo, mettendo da parte ogni argomento pregiudiziale, sia esso di carattere ideologico, ambientalista, o sentimentale.
Non solo, quindi, non farò alcuna considerazione pregiudizialmente negativa, ma concedo al governo la credibilità di tutte le sue buone intenzioni e di tutte le previsioni sulla sicurezza, sulla tenuta tecnica, sul controllo delle spese, sulla capacità di evitare infiltrazioni di carattere criminale.
Mi soffermerò invece su un unico punto, e in particolare sulla illusione che, fatto il Ponte, si risolvano i problemi di cui siciliani e calabresi soffrono cronicamente con riguardo ai trasporti e allo sviluppo delle loro terre.
Aggiungo che il mio non è un intervento “di teoria” ma “di esperienza”, ben sapendo che le considerazioni seguenti sono estensibili ad altre aree del Meridione.
Vivendo a Pisa, sono un cittadino di serie A+. Raggiungo l’aeroporto in 14 minuti di bicicletta, vado alla stazione dei treni a piedi e da lì mi muovo per andare ovunque in Italia. Ovunque, purché si tratti di un luogo raggiungibile con l’alta velocità o con gli aerei. Se però voglio andare in Calabria, nei luoghi in cui sono nato e cresciuto, mi trasformo immediatamente in un cittadino di serie Z.
Non solo non c’è modo di avvicinarcisi con un treno di AV, ma non ci sono nemmeno più i treni “di una volta”, che fino a trent’anni fa collegavano la costa jonica con Roma, Bologna, Milano e Torino. Per giunta, la linea che unisce Taranto a Reggio Calabria è a binario unico, ci viaggiano treni a gasolio, e tra Crotone e Sibari è spesso interrotta.
L’aeroporto di Lamezia è a tre ore di macchina, e lo stesso vale per quello di Bari, senza alcun collegamento che possa portare verso questi scali; e stiamo parlando di un territorio in cui si trova la terza città più grande della Calabria (Corigliano-Rossano).
La situazione non è meno tragica se parliamo delle strade. Quella che costeggia lo Jonio, la S.S. 106, altrimenti conosciuta come “strada della morte”, attraversa la lunga serie di aggregati urbani che le sono cresciuti intorno nel dopoguerra, rendendo impossibile qualunque spostamento di una certa importanza.
Ci restano gli autobus
Quanto alle strade “nuove”, la Longobucco-Mare, che doveva collegare la Sila Greca con il litorale, è in costruzione da ben 65 anni (precisamente dal 1960), e quando recentemente due tronconi sono stati aperti al traffico, uno di essi è stato chiuso poco dopo perché un cavalcavia è crollato (anche di cose come queste dovrebbero ricordarsi gli italiani, i quali parlano del Ponte come se dovessero costruirlo i giapponesi).
Per molto tempo, venuti meno i treni di cui sopra, per andare da Nord verso Sud si è viaggiato in autobus, avendo a disposizione aziende di trasporti che si facevano concorrenza e garantivano percorsi quotidiani a prezzi più che accettabili. Da quando la “concorrenza” sulle licenze ha premiato un noto operatore internazionale, è stato un disastro. Tratte rimaste del tutto scoperte, prezzi altissimi nei periodi più caldi, viaggi che durano il doppio di quanto duravano un tempo.
Questa è la situazione della maggior parte dei calabresi, e certamente ogni siciliano potrebbe aggiungere la sua esperienza. Mi chiedo quindi in che cosa la “Grande Opera” denominata Ponte sullo Stretto cambierà la vita quotidiana di questi italiani del Sud, che magari non avranno mai necessità di attraversare lo Stretto, ma hanno invece continuamente necessità di spostarsi verso gli altri territori.
L’opera simbolo
L’impressione è che il Ponte si candidi a essere l’opera-simbolo di un’epoca in cui si è tornati ad adorare la “potenza” in qualunque dimensione della vita pubblica, compresa quella delle infrastrutture. Anziché curare il quotidiano, prendendo a cuore la fragilità e la debolezza di un sistema che fa acqua da tutte le parti e che incide pesantemente sulla vita dei cittadini, sui loro collegamenti, sulle loro relazioni, ci si concentra su opere che servono solo a far dimenticare tutto il resto.
Perciò, fino a quando siciliani e calabresi non avranno possibilità di spostamento migliori di quelle attuali, il Ponte sarà solo una colossale divagazione per non affrontare le cause delle inaccettabili disuguaglianze dei territori. Anzi, come spesso è avvenuto con opere come queste, la situazione rischierà di peggiorare, in virtù del “principio Tav”, in base al quale fatta la “Grande Opera”, il resto può esser fatto morire.
A pensarci bene, è questo il primo merito del Ponte: far emergere la questione, fino a oggi rimossa, dei gradi della cittadinanza e dei diseguali diritti degli italiani che abitano i diversi territori del Paese.









