Pasquale Tridico, il padre di ogni reddito di cittadinanza, dalle colonne del Corriere della Sera lancia i punti del suo programma. Al primo punto, e non poteva essere altrimenti, c’è l’istituzione in Calabria di un reddito di dignità. E se lo dice lui, c’è da crederci. O no?
L’analisi di Tridico parte col botto: “Un calabrese su due è povero”. Una frase che contiene in sé tutta la necessità e l’urgenza di istituire un reddito di sopravvivenza: stando a questa dichiarazione, in Calabria vivono quasi un milione di persone che hanno bisogno di un sostegno economico per poter vivere. Il che è realistico, e fotografa bene la realtà di una regione disperata. E chi si propone come alternativa al sistema di intrallazzi di Occhiuto non può che mettere al primo posto il benessere fisico, sociale ed economico dei calabresi. E se ci sono cittadini che si arrangiano per sopravvivere, sono proprio i primi che andrebbero aiutati. Su questo siamo d’accordo con Tridico.
Ma va da sé che nessuna forma di sussidio può essere distribuita a un milione di calabresi: servirebbe il bilancio di uno Stato per far fronte a una platea del genere. Perciò va capito a chi intende fornire aiuto Tridico e quali sono i numeri del sostegno economico di cui parla. Se prendiamo a riferimento i percettori dell’ex Reddito di cittadinanza, in Calabria erano quasi 80 mila nuclei, che coinvolgevano circa 200 mila persone. Con la crisi attuale, è prevedibile che oggi si sia oltre i 100 mila nuclei. Se quello che ha in mente Tridico è un assegno mensile, i numeri restano enormi.
Ma Tridico, nella sua intervista, questo aspetto non lo spiega, anzi usa il politichese per non specificare nulla. La domanda è: in che forma sarà erogato il reddito di dignità? È un’integrazione all’ADI (Assegno di Inclusione) ritenuto insufficiente, che si concretizza con qualche centinaio di euro in più al mese? Ad esempio: se uno percepisce 500 euro di ADI, la Regione ne aggiunge altri 100, 200, 300, 400? Non si è capito. Perché a questa domanda Tridico risponde così: “il reddito di dignità deve connettersi a riforme delle politiche attive del lavoro e finanziato con fondi europei”. Una frase che suona bene, ma che crolla appena la si guarda da vicino.
Le politiche attive del lavoro in Calabria, lo sanno bene Tridico e il suo centrosinistra, anzi il suo campo largo, anzi il suo fronte riformista, non esistono: i centri per l’impiego sono scatole vuote, senza personale e senza strumenti. Connettere un reddito a questo significa attaccare la spina a una presa che non dà corrente. Il solo aver detto questo colloca Tridico nell’alveo più squallido del populismo. Se i centri per l’impiego funzionassero, e se in Calabria ci fosse una domanda di lavoro come nelle grandi aree industriali del Nord Italia o d’Europa, il discorso avrebbe senso. Ma qui il lavoro si trova quasi solo nel pubblico impiego e con una buona raccomandazione. Ma queste cose Anna Laura Orrico non le sa? Altrimenti perché i calabresi continuano a emigrare?
E i fondi europei? Qui sta l’inganno più grande. Tridico cita il Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+) come se fosse un bancomat pronto a pagare assegni mensili. Ma il FSE+ ha vincoli rigidi: almeno il 25% delle risorse va a misure di inclusione sociale, almeno il 5% alla povertà infantile, in alcuni casi quote obbligatorie per giovani NEET e per la Child Guarantee. Non solo: il fondo non eroga mai sussidi, ma finanzia progetti strutturati — tirocini, corsi di formazione, servizi di inclusione. Ogni spesa deve essere anticipata dalla Regione, cofinanziata, monitorata e rendicontata a Bruxelles. Ci vogliono bandi, graduatorie, controlli, tempi lunghi. Significa che non puoi prendere quei soldi e trasformarli in assegni mensili: non è previsto, non è legale, non è tecnicamente possibile. Dire che l’Europa finanzierà il reddito di dignità è come promettere ai calabresi di fare il pieno di benzina con i buoni pasto.
Sul fronte interno, a sostenere Tridico ci pensa lo “scienziato” Antonio Lo Schiavo, candidato al Nobel per l’economia nel suo immaginario. Anche lui snocciola numeri facili: “Ci sono 342 milioni di euro accantonati e 74 milioni di economie non spese”. Detto così sembra che la Regione tenga in cassaforte mezzo miliardo di euro e non lo voglia usare. Ma è un altro inganno semantico, come quello dei fondi europei. I 342 milioni non sono soldi liquidi: sono fondi vincolati, spesso già destinati ad altre voci di bilancio o bloccati in accantonamenti tecnici. Non si possono prendere e girare sui conti correnti dei cittadini. I 74 milioni di “economie” sono residui di spesa non utilizzati: anche qui, non immediatamente spendibili come assegni. E comunque — anche facendo finta che lo fossero — coprirebbero poche decine di migliaia di persone per pochi mesi, non certo 100 mila nuclei familiari.
Ecco la verità: non è il reddito il problema, ma il modo in cui viene venduto. Tridico evoca l’Europa come se fosse Babbo Natale, Lo Schiavo agita i milioni fantasma del bilancio regionale. Ma né il FSE+ né i fondi accantonati possono reggere la promessa di un reddito strutturale per le decine di migliaia di famiglie calabresi in seria difficoltà. È propaganda, populismo tecnico: mezze verità trasformate in slogan, numeri usati come specchietti per le allodole, illusioni vendute ai più poveri.
Il reddito di dignità in Calabria è una battaglia giusta. Ma raccontarlo così, con formule impossibili e soldi che non esistono, è solo l’ennesima truffa politica. E allora in che cosa consiste davvero la proposta? La risposta è semplice: il reddito di dignità di Tridico non è un assegno mensile, ma la solita giostra dei corsi di formazione, sei mesi pagati a due lire e poi di nuovo a spasso che tanto qui il lavoro non c’è.
Un vecchio cavallo di battaglia del Pd: corsi truffa e milioni di euro bruciati, basta una ricerca su Google per scoprire che questo settore è stato uno dei più depredati di sempre. Altro che reddito di dignità: dietro lo slogan si nasconde la solita macchina dei corsi-farsa, quella che da decenni brucia milioni di euro in formazione inutile. Parrucchieri, estetiste, pizzaioli, tagliatori di unghie: eserciti di “studenti” che dopo sei mesi tornano davanti al bar, senza lavoro e senza prospettive, mentre intorno gira il solito business di docenti improvvisati, strutture fantasma e consulenti di partito. È qui che finisce la dignità evocata da Tridico: non nelle tasche dei calabresi in difficoltà, ma nelle contabilità gonfiate di chi sa trasformare la povertà in affare: soldi pubblici che spariscono in un sistema che produce solo illusioni, non lavoro. La dignità promessa ai calabresi resta sulla carta… e il Pd, pregustando l’abbuffata, ringrazia.









