(di Isaia Sales – ilfattoquotidiano.it) – Alexandre Dumas scrisse diversi racconti dedicati alla città di Napoli e li raccolse nel 1835 nel libro Il Corricolo, che era il nome del mezzo di trasporto che utilizzava per percorrere la metropoli partenopea, che all’epoca era la terza d’Europa per numero di abitanti dopo Londra e Parigi. Nel testo si racconta di un gesuita che aveva elaborato un itinerario per attraversare tutta la città da un estremo all’altro stando sempre all’ombra, così da sfuggire alla calura e ai colpi di sole. Il gesuita e la mappa erano inesistenti, così come la possibilità di stare sempre al fresco percorrendo qualsiasi città del mondo, immaginiamo Napoli, dove palazzi che fanno ombra ci sono, eccome, ma scarseggiano parchi e viali alberati. Dumas abbinava santità a freschezza, perché solo un santo poteva fare il miracolo di trovare un percorso del genere e, arrivando all’oggi, solo un amministratore “fuori dal comune” potrebbe provare ad avvicinarsi alla mappa del gesuita napoletano: percorrere una città grande, piccola o media con un numero così alto di viali alberati e di parchi pubblici da sfiorare l’obiettivo di passeggiare godendo di un’ombra permanente e di trovare frescura anche nei giorni più assolati.
Se, dunque, l’obiettivo “tutto all’ombra” è un’utopia, cambiare le nostre città alberando ogni tratto alberabile è un programma assolutamente realistico. Perché non lo si prova a praticare?
Le spiegazioni più semplici sono due: costa poco e in più non risponde al convincimento ossessivo di qualsiasi amministratore locale: è un fallimento un mandato amministrativo senza nuove opere pubbliche realizzate, senza diverse autorizzazioni a costruire nuovi appartamenti e ridurre lo spazio non costruito, senza gigantismo edilizio così da lasciare in eredità ai propri concittadini una dose massiccia di cemento. Questa “ediliziomania” degli amministratori locali, questa bulimia da cemento non risparmia nessuno, non c’è nessun confine tra destra e sinistra su questo punto, nessuna percepibile differenza di impostazione nel governo della propria comunità tra forze politiche contrapposte. Il cemento è stato ed è il principale disintegratore dell’etica pubblica in Italia.
La mania di grandezza si respira anche nei piccoli comuni, dove i sindaci vogliono lasciare il segno con nuove costruzioni, azzerando gli ultimi spazi liberi: si sono trasformati anche loro in specialisti del cemento. In Italia su 105 capoluoghi di provincia ci sono in media 24 alberi ogni 100 abitanti. Ma anche in questa classifica, le città del Sud sono agli ultimi posti. Perciò mi rattrista leggere programmi elettorali pomposi, esagerati, spesso copiati, che tutto propongono tranne che rispondere a esigenze elementari della vita associata, come se occuparsi delle piccole cose quotidiane fosse miserevole, limitativo, non degno della “grande politica”. Ma al contrario non c’è cosa più dignitosa per un politico (che vive in luoghi degradati) di prendersi cura con amore, umiltà e dignità di quel degrado e riempirlo di verde, di alberi, di parchi, di viali, partendo dalle piccole cose tra cui, appunto, considerare la presenza di luoghi freschi come un bene pubblico oggi essenziale.
Ho un consiglio da dare agli amministratori locali, soprattutto meridionali: si ponga fine alla politica delle costruzioni di case che hanno trasformato i nostri luoghi in caserme urbane, che “hanno circondato l’ambiente più che esserne circondati” (per dirla con Franco Arminio). E si preferisca nelle assunzioni un giardiniere a un ingegnere. Si solleciti in ogni regione una sacrosanta legge perché nessun altro metro cubo venga offerto alla speculazione edilizia e si concentri tutto sul recupero del già costruito, eccezion fatta per nuove scuole, asili, biblioteche e quanto strettamente necessario per migliorare i servizi pubblici. Che bello se un candidato sindaco scrivesse nel suo programma: farò della mia città la più verde d’Italia, con più alberi che cittadini, più viali alberati che condomini, più giardinieri che impiegati. Ci sarà mai un sindaco che proverà a tracciare un percorso di attraversamento della propria città tutto (quasi) all’ombra?









