(ANNA FOA – lastampa.it) – Una flotta di imbarcazioni piccole e grandi sta solcando il Mediterraneo alla volta di Gaza. Porta persone provenienti da ben 44 Paesi, attivisti, politici, medici, giornalisti, giuristi, insomma i rappresentanti della migliore società civile. Non recano armi, ma aiuti alla popolazione di Gaza stremata dalle bombe e dalla fame. Intendono rompere con la forza della non violenza il blocco che impedisce agli aiuti umanitari di raggiungere Gaza.
L’obiettivo è duplice: da una parte, sbarcare aiuti che l’esercito israeliano non lascerà entrare a Gaza, consapevoli che si tratta sì di un gesto simbolico, ma di un simbolismo che svela radicalmente la fame che travaglia i palestinesi, il blocco che impedisce loro di mettersi in salvo, l’uccisione sistematica da parte dell’Idf, l’esercito israeliano, dei giornalisti palestinesi che documentano ciò che succede nella Striscia, gli unici a cui Israele concede di farlo fino a che un drone non li colpisce: 278 di loro sono già morti.
Se il governo israeliano agisse in modo sensato, se si curasse in qualche misura dell’opinione pubblica del mondo, non solo li lascerebbe entrare ma applaudirebbe alla loro iniziativa. Farebbe almeno finta di considerarla un aiuto a ciò che Israele rivendica falsamente come un suo merito, nutrire i palestinesi. Invece Israele non può né vuole farlo perché il suo messaggio è duplice. Verso il mondo, afferma che non c’è carestia a Gaza, che si tratta della propaganda di Hamas.
Ma verso i suoi cittadini, vuole far passare la tesi che tutti i palestinesi si identificano con Hamas, che tutti sono colpevoli e terroristi, che tutti meritano di essere assassinati dalle bombe, dalle malattie, dalla fame. Un’educazione al genocidio. Lo dicono, inondandoci di terribili video, molti rabbini, molti politici, tutti i coloni. Ed ecco quindi che il governo proclama che tutti coloro che sono imbarcati sulla flottiglia saranno trattati come terroristi. Arrestati e chiusi nelle terribili carceri destinate ai palestinesi, dove spesso si muore.
Israele si è chiuso in una bolla fatta da paura, aggressività, violenza e disinteresse verso l’opinione pubblica del resto del mondo. Anche le inalterabili norme della diplomazia sono state cancellate. Dopo un incontro con Papa Leone, il presidente israeliano Herzog ha rilasciato dichiarazioni sulla buona riuscita dei colloqui e sui temi affrontati che sono state confutate e corrette radicalmente dal Vaticano. Che cosa diranno i giornali in Israele di queste inaudite falsificazioni, ne parleranno davvero, a parte naturalmente quelle poche voci che con coraggio portano avanti la battaglia contro il governo?
Nessuno sa davvero cosa può succedere mentre la flottiglia si avvicina a Gaza. Attacchi e arresti in acque internazionali? Non sarebbe la prima volta, è successo altre volte, determinando incidenti il più grave dei quali è avvenuto nel 2010 quando le imbarcazioni della Freedom Flotilla, che volevano come oggi forzare il blocco, sono state assalite in acque internazionali, con 10 attivisti uccisi.
Quell’incidente aveva portato a un intervento della Corte penale internazionale, conclusosi con un nulla di fatto. Ma oggi la situazione è diversa. Israele ha perduto ormai completamente quel diritto all’eccezionalità e all’impunità di cui godeva in seguito alla memoria della Shoah. Il clima nei suoi confronti è pesante: come potrebbe non esserlo con quasi sessantamila palestinesi assassinati, le norme del diritto internazionale sistematicamente violate, una propaganda negazionista sempre più ampia e assillante?
Chi si preoccupa di questo, definito da Bibi e dai suoi “antisemita”, ha invece a cuore l’onore di Israele, la sua reputazione. Vorrebbe che una rivolta dal basso cancellasse queste atrocità – chiamiamole come preferite, sterminio, genocidio, crimini di guerra – e facesse rinascere l’anima dell’ebraismo. Ma il governo accusa ormai di terrorismo anche i suoi oppositori interni, i giusti che sfilano chiedendo la fine della guerra e la liberazione degli ostaggi oltre che la cessazione del massacro dei palestinesi. Finché ci sono questi giusti, io credo, possiamo ancora vedere una luce debole nelle tenebre. Ma fino a quando? E se non ora quando?









