Roberto, diciamolo, non è un animale da palco. Lo si capisce dalle movenze, ma soprattutto dal suo bambinesco climax oratorio (peroratio ad fortem vocem) durante i comizi, che, nel modo in cui lo esercita, rivela più la goffaggine di una comparsa agitata che l’autorevolezza di un oratore. Agli sbalzi di voce da “arringapopolo de noantri” aggiunge smorfie e scatti che sembrano usciti da una coreografia di una recita delle elementari di cinquant’anni fa. Per non parlare della misera retorica dei suoi discorsi: un copione mal recitato, che nulla ha a che fare con la spontaneità, la genuinità e la convinzione. È evidente: alle cose che dice non ci crede neanche lui. Ma è costretto a dirle, e non può fare altrimenti. Ed è proprio questa situazione, innaturale per lui, che finisce col tradirlo, scoprendone le carte.
Oltre a recitare male, l’agitazione da panico da palcoscenico lo induce spesso e volentieri a commettere evidenti lapsus che riflettono, però, il suo vero pensiero. O meglio, dove gli sbatte davvero la testa. Nel comizio di presentazione — si fa per dire — a Cassano, quando si è lanciato in una delle sue exclamatio, con variazioni di colore del viso che oscillavano dal violaceo al rosso paonazzo, parlando dei precari ha commesso uno di quei lapsus che, per chi conosce i retroscena di Robertino, lasciano il segno: per ben due volte, invece di dire precari, li ha chiamati primari.
Ed è lì che ha la testa Roberto: non ai precari, ma ai primari. I primari sono importanti per lui, ci tiene alla salute dei calabresi. E gli ronzano sempre in testa. Non riesce a dimenticarli un attimo tanto è grande l’amore per loro. Un amore (professionale) che Robertino, però, vorrebbe tenere segreto, per motivi di opportunità, e che invece il suo subconscio continua a cacciare fuori. I lapsus non mentono mai: sono fenditure improvvise che lasciano intravedere ciò che si agita dietro la facciata. E così, tra un rossore improvviso e uno sguardo sfuggente, è emerso il vero retroscena. Un mondo di attenzioni discrete, di predilezioni non casuali, di gratitudini verso una categoria che vanno in qualche modo ricambiate. A Cassano, per due volte, gli è scappata la parola giusta — quella che tradisce il cuore più che la lingua. Noi non aggiungiamo altro: ci basta aver colto il lampo dietro il sipario.









