Calabria 2025. La carica dei patronati-bancomat “bipartisan”: con i nostri soldi si comprano voti e potere

Calabria, la carica dei Patronati: con i nostri soldi si comprano voti e potere
Campagna elettorale, tempo di caccia al voto. E in Calabria, terra di promesse eterne e bisogni infiniti, i partiti sanno bene a quali porte bussare. Non si va nelle fabbriche che non ci sono, né dalle imprese che faticano a sopravvivere. No, si va da chi i voti li sposta davvero, da chi vive nella e della politica da quarant’anni, da chi gestisce un potere capillare e silenzioso. Si bussa (a denari) alle porte dei patronati.
In teoria dovrebbe essere un servizio gratuito o a costi agevolati che offre supporto a lavoratori, pensionati, disoccupati e cittadini in generale, aiutandoli a orientarsi tra regole, documenti e domande da presentare. In pratica sono diventati “segreterie” politiche.
Basta farsi un giro nei parcheggi delle loro sedi principali per capire l’antifona. Non utilitarie da battaglia, ma un’elegante sfilata di Audi, BMW e SUV di lusso. Simboli di un potere che non ti aspetti da enti che dovrebbero assistere lavoratori e pensionati, ma che somigliano in modo inquietante ai più tradizionali status symbol della politica, quella che promette e non mantiene. È qui, in questi feudi moderni, che la politica calabrese viene a chiedere il conto, in termini di voti e, chissà, forse anche di denari.
Ma come funziona il bancomat? Pochi lo sanno, ma il meccanismo è un capolavoro di creatività finanziaria a spese dei cittadini. La fonte di finanziamento dei patronati è quasi interamente pubblica, ma non arriva dalla fiscalità generale. Proviene da un prelievo obbligatorio e dedicato, una tassa occulta calcolata come percentuale sulle retribuzioni di ogni lavoratore dipendente in Italia. L’Inps agisce da esattore, raccoglie queste somme e le versa in un tesoro nazionale chiamato “Fondo patronati”, un forziere che vale stabilmente tra i 420 e i 480 milioni di euro ogni anno. Poi, il Ministero del Lavoro distribuisce la torta. E come? Non in base ai bisogni, ma con un “sistema a punteggio” che premia chi fa più pratiche, favorendo i colossi come INCA (CGIL) e INAS (CISL) che da soli assorbono oltre il 50% del totale.
In pratica, ogni lavoratore, senza saperlo, versa decine di euro l’anno per finanziare questi enti che, pur essendo foraggiati con soldi pubblici, operano con le logiche di un’azienda privata, con controlli pochi o del tutto inesistenti.
E i risultati si vedono. Non solo nelle auto di lusso. Ma anche in stipendi faraonici per i dirigenti, gettoni di presenza, spese di rappresentanza senza controllo, sedi sfarzose nel centro di Roma pagate fior di quattrini pubblici. I bilanci? Spesso non vengono pubblicati o sono talmente opachi da risultare incomprensibili. E poi, il capitolo più oscuro: le assunzioni clientelari. Un sistema perfetto per creare consenso e distribuire favori, dove al vertice finiscono quasi sempre i membri della stessa famiglia.
Un caso di scuola è quello del patronato INPAL, promosso dall’Associazione Italiana Coltivatori (AIC). Al vertice dell’AIC nazionale c’è l’inossidabile Giuseppino Santoianni. E chi troviamo alla presidenza nazionale del ricchissimo patronato INPAL? Suo figlio, Pasquale Santoianni. E chi è stata appena incoronata presidente dell’AIC in Calabria, proprio a ridosso delle elezioni? La figlia, Elisabetta Santoianni. Una dinastia costruita con i nostri soldi, un feudo familiare che gestisce un mare di nostre tasse facendo gli sbruffoni.
Ed è proprio qui che la politica calabrese si presenta con il cappello in mano. Poco importa chi governa, se il centrodestra di Roberto Occhiuto o il Pd. Si cambia sponda con rapidità, facilità. I partiti, di ogni colore, dialogano fruttuosamente con i vertici dei patronati, specie nell’area dell’agricoltura. Sanno che queste organizzazioni muovono pacchetti di voti, gestiscono centinaia di posti di lavoro e amministrano milioni di euro pubblici con pochissima trasparenza. Una zona d’ombra perfetta per oliare gli ingranaggi del consenso.
Non è un caso che tra i candidati e i grandi elettori delle regionali del 2025 spuntino nomi pesanti, direttamente collegati a questo mondo. C’è Raffaele Mammoliti del Pd, una vita passata ai vertici della CGIL, il sindacato che promuove il patronato INCA.
E c’è Pietro Santo Molinaro, allo scorso turno elettorale con la Lega Nord e oggi in Fratelli d’Italia, per 14 anni presidente di Coldiretti Calabria, l’associazione che controlla il patronato EPACA. Sono loro i terminali politici di un sistema di potere che si autoalimenta. Accanto a loro, si muovono figure come la già citata Santoianni (AIC) e Leonardo De Marco, presidente del Movimento Cristiano Lavoratori (MCL) a Cosenza.
È un sistema che costa caro ai cittadini, ammaliati dal lusso di dirigenti che si arricchiscono gestendo fondi pubblici destinati, in teoria, ad aiutare i più deboli. Un sistema di cui nessuno parla. I media nazionali tacciono, forse per non disturbare i potenti sindacati e le associazioni di categoria che ne tirano le fila. Ma la domanda resta, sospesa nell’aria pesante della politica calabrese: non è che i patronati, così come sono gestiti, sono semplicemente una gigantesca truffa legalizzata ai danni dello Stato?