Un fiume per Gaza. La Calabria ha scelto da che parte stare: con la Palestina e contro il governo Meloni

Cosenza ha alzato la voce, e lo ha fatto in modo netto. Nel giorno dello sciopero generale regionale per Gaza indetto dall’Usb, il capoluogo bruzio è stato il baricentro della mobilitazione. Una piazza che ha raccolto l’intera Calabria, diventando il punto di riferimento per studenti, lavoratori, famiglie e realtà associative arrivate da tutta la regione. Non un dettaglio organizzativo, ma un segnale politico: una terra considerata periferia che sceglie di farsi centro, dichiarando di non voler essere complice del genocidio in Palestina.

Dal primo pomeriggio piazza Loreto comincia a trasformarsi. All’inizio è un brulichio, un via vai che si gonfia piano, poi diventa un fiume che prende forma. Non ci sono compartimenti: le differenze si mescolano, i volti si confondono, le generazioni camminano una accanto all’altra. È una folla che cresce compatta: un’intera regione ha deciso di parlare con la stessa voce.

Quando quel fiume si mette in marcia, dietro lo striscione “Blocchiamo il genocidio”, la partecipazione appare in tutta la sua forza: oltre 5000 persone. Nessuna bandiera di partito, solo Palestina. Non è la solita “passeggiata”. I cori che si levano scandiscono parole nette: “Se non cambierà, Intifada pure qua”, “Siamo tutti antisionisti”, “Siamo tutti palestinesi”, “Stop genocide, Israele fascista stato terrorista”. Non sono slogan vuoti, ma una dichiarazione collettiva di posizione, un rifiuto esplicito di ambiguità e compromessi. È la prova che chi ha scelto di esserci non lo ha fatto per abitudine, ma per convinzione: idee chiare, determinazione a farsi sentire.

I cori continuano a scandire il ritmo della marcia, ed è in quell’energia che il corteo si allunga fino a via Simonetta, puntando verso lo svincolo autostradale. È il momento di maggiore tensione: davanti una barriera di blindati e scudi. Ma la scena non degenera. Quello che poteva diventare scontro si trasforma in un gesto politico: dimostrare che la piazza non arretra, che sa scegliere il terreno della lotta senza farsi chiudere nella gabbia dell’ordine pubblico.

La forza di ieri non è soltanto nei numeri, ma nel fatto che la politica è tornata a camminare nelle strade. Non quella di facciata, dei comunicati e delle passerelle, ma quella che nasce dal basso e pretende chiarezza. La piazza di Cosenza non ha invocato genericamente la pace: ha accusato il governo italiano di complicità, di finanziare il riarmo, di restare muto davanti a un genocidio.

Il segnale è forte: se una regione del Sud, spesso ignorata e marginalizzata, riesce a portare in strada migliaia di persone per Gaza, vuol dire che la frattura tra il paese reale e la politica ufficiale è ormai evidente. La Calabria, ieri, ha fatto ciò che né il governo né l’opposizione hanno avuto il coraggio di fare: scegliere chiaramente da che parte stare. E il “Meloni Meloni vaffanculo” che si alza forte quando il corteo vira verso lo svincolo è il trionfo di tutta la gente libera che lo grida all’unisono. 

Ed è proprio qui che cade la maschera delle dichiarazioni facili e della retorica politica: Occhiuto e Tridico possono dire di “non avere problemi a schierarsi con i palestinesi”, ma restano vuote dichiarazioni di comodo, chiacchiere da campagna elettorale, una misera retorica che specula persino sui bambini morti per darsi un tono umanitario che in realtà non possiedono. La piazza, invece, non si è mossa per convenienza ma per convinzione, trasformando la solidarietà in un atto politico capace di fermare una città intera.

Al tramonto, “Bella Ciao” cantata da migliaia di voci ha saldato la memoria della Resistenza con la lotta del popolo palestinese. Alle nove, in piazza dei Bruzi, la chiusura della manifestazione è stata la promessa che non finirà qui: se la flotilla solidale diretta a Gaza sarà attaccata, la città tornerà a fermarsi.

Cosenza ha dato ieri una risposta che va oltre il dato numerico. Ha mostrato che anche in Calabria esiste un tessuto sociale vivo, capace di unirsi su una questione che è insieme umanitaria e politica. Una piazza che non ha chiesto, ma ha preteso: fine al silenzio, fine alla complicità. Stop al genocidio.