Calabria 2025. Occhiuto e la via dell’arcobaleno. Il “battilamera”, la “Vibo bene” e l’ombra del Gattopardo di Cosenza

Il "battilamera" e il Gattopardo

Siamo partiti dalle accuse omofobe di Maria Gabriella Dodaro, moglie magistrata dI Paolo Posteraro, socio di Occhiuto. “‘Sto ricchione di merda” lo definisce per ben due volte nelle intercettazioni captate dalla procura di Catanzaro motivando ovviamente quello che dice. Ma gli atti dell’inchiesta, che pure sono pubblici e sono passati e stanno ancora passando di mano in mano, continuano a non essere pubblicati nonostante contengano prove disarmanti del “tenore di vita” di certi personaggi protagonisti di ascese irresistibili in politica sulla pelle dei calabresi onesti e aprono un vero e proprio vaso di pandora. In ogni caso, nonostante la “censura” sistematica della politica e dei media di regime, stanno venendo fuori vicende incredibili, che coinvolgono in modo particolare la “compagnia di giro” di uno dei pezzi grossi del cerchio magico di Occhiuto ovvero Antonino Daffinà da Vibo Valentia. 

Ieri abbiamo scritto dell’irruzione dei carabinieri in un villaggio di Zambrone, dove hanno scoperto Daffinà in dolce compagnia del suo amico gioielliere Salvatore Franzè e di un altro amichetto, E abbiamo scritto anche della furiosa reazione della moglie di Daffinà, che armata di martello, era andata a frantumare la vetrina del negozio del “rivale”.

Sull’episodio in questione e sui personaggi citati si potrebbe davvero scrivere una serie televisiva, squallida e di basso livello ovviamente. Il noto gioielliere a cui ci si riferisce, al secolo Salvatore Franzè, nasce da una famiglia di basso ceto, vicina ad ambienti malavitosi: era un modesto “battilamera”, tradotto un carpentiere. Praticava come garzone presso una carrozzeria di Vibo. Il padre, invece, era un operaio presso l’azienda Nuovo Pignone sita in Triparni, frazione di Vibo Valentia. Il gioielliere è infatti uno dei nove, tra fratelli e sorelle, della numerosa famiglia.

Una volta scalata la “Vibo bene”, il noto gioielliere entra in contatto con i personaggi più influenti e qui incontra il nostro plenipotenziario “arrapato e sempre a caccia di pilu fresco” (ipse dixit, sic!). Per molti anni la sua gioielleria diventa l’epicentro del voyeurismo vibonese e anche oltre. Ma si sa nei piccoli centri tutto quello che si fa, prima o poi, si viene a sapere. L’episodio delle vetrine frantumate a martellate risale a circa dieci anni fa, allorché l’attuale plenipotenziario aveva intrapreso una fervida e lussuriosa “liaison” che coinvolgeva numerosi soggetti ambosessi appartenenti all’alta borghesia vibonese, ma non solo.

In quel periodo infatti, e non è più un mistero, nella “compagnia di giro” si inserì anche un soggetto baffuto di Cosenza che ricopriva un’altissima carica nel mondo della Legge e della Giustizia vibonese. Lo sanno tutti ormai: parliamo di Mario Spagnuolo, meglio conosciuto a Cosenza come il Gattopardo, procuratore capo prima a Vibo e poi a Cosenza. Tutti sanno che il “baffetto” frequentava spesso e volentieri la gioielleria dove aveva modo di incontrare vari personaggi tra cui, oltre al titolare del negozio, anche il mitico Daffinà. Insomma, Vibo Valentia è stata l’epicentro regionale della massoneria più depravata. E non ci si venga a dire che stiamo parlando di gusti e preferenze sessuali, visto e considerato lo “spessore” di questi personaggi nella vita sociale e politica della Calabria intera.

Cìè ancora un aspetto importante da rimarcare: la moglie del gioielliere risulta imparentata con una famiglia dal nome molto noto a Vibo Valentia, i Pitaro… sì, proprio la famiglia del politico oggi candidato nelle liste a supporto di Roberto Occhiuto. Ma magari di questo scriveremo nella prossima puntata. Il tempo non ci manca.