È in corso alla Casa Bianca l’atteso incontro tra Donald Trump e Netanhyau per discutere del piano di cessate il fuoco e ricostruzione di Gaza predisposto dall’inviato Usa Steve Witkoff. «Sono molto fiducioso che raggiungeremo l’accordo su Gaza», ha detto Trump accogliendo alla Casa Bianca il premier israeliano per la quarta volta dall’inizio del suo secondo mandato. Poi i due si sono chiusi in lunghi conciliaboli insieme ai più stretti collaboratori. La conferenza stampa, in origine in programma alle 19.15, è slittata di oltre un’ora. Segno con ogni probabilità che l’intesa tra Usa e Israele (e Paesi arabi) sul piano per il futuro di Gaza ancora non c’è. Stando a quanto filtra dalla Casa Bianca, Netanyahu avrebbe presentato significative richieste di modifica al piano. «Tutti, e intendo proprio tutti, sono esasperati da Bibi», ha confidato sotto anonimato un funzionario Usa al giornalista Barak Ravid. Secondo il canale 12 israeliano, gli Usa avrebbero accettato di rimettere mano al piano Witkoff apportandovi «cambiamenti radicali» auspicati da Gerusalemme. La Casa Bianca ha risposto indirettamente rompendo gli indugi e rendendo pubblico il piano in 20 punti (e non 21) per il cessate il fuoco e la governance di Gaza dopo la guerra. Nel frattempo a Washington è arrivata anche una delegazione di alto livello del Qatar. Obiettivo: «finalizzare l’accordo» sulla fine della guerra.
Le scuse di Netanyahu al Qatar
Perché fosse possibile la ripresa ufficiale del lavoro di mediazione del Qatar – fondamentale per assicurare che anche Hamas accetti l’intesa – nel corso dell’incontro alla Casa Bianca Trump ha «favorito» una telefonata di Netanyahu al primo ministro del Qatar Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, nella quale il premier israeliano si è scusato per aver violato la sovranità del Paese del Golfo con l’attacco ai vertici di Hamas a Doha dello scorso 9 settembre. Netanyahu, fa sapere la stessa Casa Bianca, avrebbe espresso rammarico in particolare per l’uccisione di una guardia di sicurezza qatariota ed avrebbe promesso di non attaccare più il Paese del Golfo.









