Dal Vietnam a Gaza. Oggi come ieri la stessa forza che cambia la storia: noi sappiamo da che parte stare

Era dai tempi del famigerato G8 di Genova che l’Italia non vedeva una mobilitazione di piazza così determinata e numerosa. Allora era il movimento No Global, un movimento che raccoglieva chi, nel mondo, si opponeva alle scellerate politiche neoliberiste, alle multinazionali e all’ingiustizia di un sistema costruito sul profitto di pochi a danno dei diritti dei molti. Quel movimento ebbe la forza di diffondere una narrazione alternativa a quella ufficiale dei governi neoliberisti e, a distanza di anni, persino i detrattori devono riconoscere che le sue rivendicazioni erano giuste e sacrosante: i danni della globalizzazione sono oggi sotto gli occhi di tutti. E fu proprio quella forza di incidere nell’immaginario collettivo a spaventare il potere, che reagì come sempre con la menzogna, la repressione, e con i processi farsa. La verità, col tempo, è venuta a galla: non furono i manifestanti a macchiarsi di violenza, ma la politica e la polizia di allora, colpevoli di aver costruito false accuse pur di fermare il movimento.

Oggi quella stessa energia riemerge nelle piazze italiane, e in quelle di tutto il mondo, che chiedono la fine dello sterminio a Gaza. Un nuovo movimento globale, diverso per contesto ma simile nello spirito, che unisce studenti, sindacati, lavoratori, associazioni, realtà politiche, sociali e religiose, e cittadini comuni sotto un’unica parola d’ordine: fermare il genocidio del popolo palestinese. Che prevalga l’umanità sulla barbarie.

I media lo chiamano movimento ProPal, quasi a ridurlo a un’etichetta, ma dietro quella sigla c’è molto di più: c’è una rete globale larga e trasversale che tiene insieme generazioni, culture e sensibilità diverse, unite dall’urgenza di fermare la carneficina. Non un partito, non una sigla, ma uomini e donne che hanno scelto di stare dalla parte giusta della storia. Oggi nessuno può dire: non sapevo cosa stava accadendo a Gaza.

Ed è proprio questa coscienza collettiva, impossibile da censurare o ignorare, che ha trasformato le piazze di oggi in qualcosa di più grande di un semplice corteo. È il bisogno urgente, di fronte a tanto orrore, di riaffermare la propria umanità: un sentimento che attraversa confini e identità, e che in Italia ha trovato la sua forza in un dato impressionante. In poche settimane sono scese in piazza milioni di persone, rompendo l’argine dell’indifferenza e costringendo i media e la politica a prendere atto di una mobilitazione senza precedenti. È stata la spinta politica ed emotiva della Flotilla a squarciare il velo delle bugie su ciò che sta avvenendo a Gaza, aprendo una crepa irreversibile nella narrazione ufficiale e rendendo impossibile continuare a far finta di niente. Quella spinta ha dato vita a un’onda umana che da mesi avanza senza sosta, capace di osare laddove la pavidità e l’infamia dei governi non hanno mai avuto il coraggio di spingersi.

E tutto questo, oggi come ieri, fa paura. Fa paura a chi preferisce il profitto all’umanità. A chi è servo di un sistema che ha fatto dello sterminio e della guerra la principale fonte di guadagno. E il governo italiano è tra i servi più ubbidienti di questo disumano sistema. Non è più una questione di appartenenza politica, che pure c’è, ma non può essere anteposta allo sterminio di un popolo: è una questione di dignità umana. Perché, a questo punto dell’orrore, “piangere non basta più, bisogna agire”. E quando agisci, e quell’agire incide sulla coscienza sociale rischiando di diventare un problema politico per gli infami del governo, oggi come ieri, la reazione è sempre la stessa: screditare, mentire, reprimere. Ogni forma di dissenso diventa illegittima, bollata come sovversiva o eversiva. Manifestare equivale a vandalizzare, e chi scende in piazza viene trasformato nel mostro utile a giustificare la repressione: un potenziale terrorista, un fiancheggiatore di assassini.

Ieri come oggi lo schema è identico: allora erano i “black bloc”, oggi sono i “fiancheggiatori di Hamas” e gli “antisemiti” usati come etichetta infamante per zittire chi denuncia il genocidio. Cambiano le parole, cambiano i bersagli, ma la logica resta la stessa: trasformare la piazza in un nemico pubblico per cancellarne le ragioni.

Ma questa volta la squallida e infame pratica della criminalizzazione non basterà a fermare l’onda umana. Le piazze non si lasceranno ridurre al silenzio: a emergere non sarà più solo la narrazione tossica del potere, ma soprattutto la verità scomoda delle sue complicità e della sua sudditanza agli interessi bellici e finanziari. Perché questa volta si è accesa, come poche altre volte nella storia dei movimenti, la scintilla dell’umanità nel cuore del mondo. E quella fiamma rende il movimento l’espressione più chiara di un sentimento condiviso che attraversa città, paesi unendo il paese intero in un’unica voce contro tutto questo orrore.

Ed è per rendere ancora più forte quest’onda, che nessuna infamia potrà arrestare, che oggi l’Italia che non vuole essere complice ritorna in piazza, a Roma. Partecipare a questa onda umana non significa soltanto esserci: significa scegliere da che parte stare, significa sentirsi parte dell’umanità che resiste all’orrore. E oggi, insieme al grido di fine del massacro, nelle piazze risuona una richiesta precisa: la liberazione immediata dei membri della Flotilla, arrestati illegalmente da Israele solo per aver portato aiuti e speranza a Gaza.

Ieri come oggi le piazze gridano pace. Fu così a Genova, e prima ancora negli anni della guerra in Vietnam, quando la spinta dei movimenti seppe piegare persino i potenti della Terra. Oggi come ieri quella stessa forza, tornata a riempire le strade del mondo, porta con sé la fiamma di quelle lotte che seppero cambiare la storia. Una fiamma che può davvero cambiarla ancora. Ed è per questo che ieri, in piazza a Roma, noi ci siamo stati e in queste ore vi racconteremo quello che abbiamo percepito e quello che sta emergendo in tutta l’Italia.