di Saverio Di Giorno
Oggi è il mio compleanno. E mi sono fatto un regalo: ho annullato il voto. Non con facilità – entrato con l’idea di votare Tridico – e tuttora mentre scrivo non sono certo di aver fatto la scelta migliore in assoluto. Solo che lo è per me, per questo dico che è un regalo. Mi si scuserà se per una volta uso la prima persona e parlo sì di un fatto, ma personale, rubando tempo e spazio a chi vorrà leggere, ma la si prenda come una lettera alla redazione. Del tutto a titolo personale questa volta.
Ho annullato il voto, che sarebbe andato, ovviamente, a Tridico. Forse per orgoglio, forse per presunzione diranno i pochi che arriveranno in fondo. No invece: è stato solo un rifiuto, istintivo forse irragionevole. Un rifiutarsi di accettare, di fare un sospiro o un’alzata di spalle – come ho visto fare a chi mi spingeva a votare – seguito da un c’ama fa. Il no a un sì che pareva una scelta obbligata.
Non è bianca, è nulla. Non sia mai che a qualcuno venga la voglia di “ricolorarla” come è già successo nel caso Gentile. Lo scrivo e lo dico oggi che è il mio compleanno, ma ora dopo che gran parte dei giochi sono fatti così da non poter influenzare – ove mai potessi – nessuno. Nessuno dei tanti amici o conoscenti, persone perbene e valide, che legittimamente e genuinamente hanno spinto speranze e impegno verso la coalizione Tridico. Comprendo i ragionamenti, le paure, la voglia di dare una sterzata. Li ho fatti più volte, spinto dalle loro argomentazioni pressanti: “è l’ultima occasione” oppure “l’alternativa è peggiore”, o ancora “è l’ultima speranza” e anche “diamo una spallata alla Meloni e alla politica imperialista”. Tutto vero, tutto giusto. Tutto ragionevole e razionale.
Ma no. Io ho il vantaggio e la presunzione del tempo. Questo dà il lusso degli errori, della spregiudicatezza e l’illusione della forza. Ho la forza di dire che esattamente come negli ultimi anni siamo stati tra piazze e tribunali, possiamo starci i prossimi. Dietro le barricate, istanza per istanza, licenziamento per licenziamento, determina su determina. A chiedere conto, leggere e pubblicare, presidiare e fare ricorsi. Ho il tempo e le energie dalla mia. Ho usato e uso una parte del mio tempo a leggere, scrivere, e anche certo attaccare e difendere i miei e nostri attacchi: e non l’ho fatto per poi accontentarmi. Soprattutto perché il tempo davanti è di più di quello dietro e un tempo accontentato è molto peggio di uno speso nella lotta.
Forse troppo ideale questo ragionamento? Allora abbiate un altro po’ di pazienza. Andiamo al pratico. Penso ovviamente che Tridico sia migliore di Occhiuto e non solo per demeriti di Occhiuto (troppo facile), ma anche per oggettivi meriti suoi. E dico non meno peggio, ma proprio migliore. Ma non mi è bastato. Sono stato combattuto fino all’ultimo. Poi è arrivata la Palestina, le sue piazze, la Flotilla. Che c’entra? C’entra perché mi hanno ricordato che l’alternativa non è sempre tra due scelte istituzionali, ma si costruisce se non c’è, in piazza, nei tribunali, nelle strade. C’entra perché quelle barche stavano lì a ricordare che non si può sempre scendere a compromessi. Non su tutto. E di certo non con la ‘ndrangheta. Perché di questo parliamo. Non a ventisette anni. E qui mi sono fermato e ho cantato con Pino Daniele: voglio di più.
A febbraio mi è stato chiesto di testimoniare in tribunale in quanto autore di alcuni articoli circa la sanità qui su Iacchitè e poi su un libro. E ho confermato quanto si scrive: il finanziamento dei privati, le fatturazioni raccontato con nomi e cifre. Mi sono ricordato di aver nominato Occhiuto, ma anche i fratelli Greco e Bruno Bossio (qui completo – https://youtu.be/NpO_3xAGiRo) Se quelle parole (e si permetta: quei rischi) hanno avuto un senso – anzi perché abbiano ancora un senso – allora la proposta di Tridico non mi bastava.
Non ho scrupoli di coscienza. Abbiamo qui tirato fuori ogni carta, passato ai raggi X ogni candidato di Occhiuto, riportato intercettazioni, confrontato le dichiarazioni, esaminato ogni contraddizione, ogni determina e tutti i centesimi pubblici. Personalmente – non per vanagloria, ma come scusante – con quelli che erano i mezzi e gli spazi ho provato a dare spazio e voce a chi Tridico lo sostiene e lo difende numeri alla mano, come Santo Gioffrè, il cui lavoro è stato instancabile così come pubblicamente ogni volta che mi è stato chiesto o ho potuto ho provato a raccontare ancora quello che Iacchitè scrive da anni e cioè di quale ricettacolo di corruzione e malagestione sia la coalizione di Occhiuto.
Dirò di più, spogliandomi di ogni reticenza: a chi mi ha chiesto privatamente consiglio dicendomi che voleva votare ho espresso la mia preferenza per la coalizione di Tridico e ho anche raccomandato di usare le preferenze e ho detto chi (ho suggerito ora Laghi ora la Scutellà: non per chissà quali rapporti inesistenti, ma per stima e perché fare un dispetto a Gentile è sempre cosa buona). Che almeno si argini con le preferenze lo strapotere dei ras delle preferenze in casa Tridico, ho provato a suggerire a chi chiedeva. Quindi non ho scrupoli.
Però non si è solo scandagliato la rete di potere di Occhiuto. Si era anche detto di vincolare il sì a dei veti sulle liste. Poi le liste sono uscite e non era stato fatto. Ho provato a dire “occupate il Pd”, ma neanche questo è stato fatto. Ancora: tiriamo fuori i nomi della giunta! Almeno quelli importanti. E non è stato possibile. Ancora fino all’ultimo ho ascoltato pazientemente gli incontri e i comizi e mai una volta Tridico ha parlato di ‘ndrangheta, masso-ndrangheta, mai lui o i suoi hanno calcato su questo tema nonostante gli imbarazzi che avrebbero potuto avere dall’altra parte. Mai una voce forte e potente si alzata che facesse risuonare i nomi dei boss o dei loro referenti, eppure questa è la terra di Losardo e Valarioti che hanno dato l’esempio.
E penso di poter chiedere quel livello, di poter pretendere che non sia solo qualcosa o la maggior parte, ma tutto. Penso di poter volere, anzi pretendere – perché è un diritto – qualcuno riesca a garantire tutto e nel migliore dei modi. Voglio tutto e al meglio e non che sia un vezzo, un lusso, ma come giusto risarcimento.









