di Wanda Marra
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Il “rigetto etico-morale” rispetto anche all’ “ipocrisia elle élite”, che si proclamano “paladine dei diritti umani fondamentali” e poi“ permettono che avvengano cose come il genocidio in corso”.
Secondo Lucio Baccaro, direttore dell’Istituto Max Planck per la Ricerca Sociale di Colonia, è questo che è alla base delle mobilitazioni degli ultimi giorni. Con una presenza imponente della Gen Z, che scende in piazza in moltiparti del mondo. Dal Marocco al Nepal al Marocco, dal Madagascar all’Indonesia.
Professore, perché la Gen Z scende in piazza?
La domanda da farsi è “perché non dovrebbe?”. Si tratta di una generazione che nei paesi avanzati ha prospettive peggiori di quelle dei padri, oltre ad avere a che fare con élite ipocrite. Prima della Palestina, questi giovani hanno manifestato perla crisi climatica, c’è stato il movimento dei Black lives matter, come proteste dello scorso anno nei campus americani. E negli anni 2010 le grandi proteste contro l’austerity: Occupy Wall Street e gli indignados.
Come mai in Italia la più grande mobilitazione degli ultimi anni è stata sulla Palestina, e non su temi più classici come il lavoro, il reddito, la sanità?
Il tema della Palestina è di più facile lettura: non c’è una guerra in corso, ma un genocidio, un popolo senza esercito contrapposto a un popolo con un esercito fortissimo. Dunque, la reazione morale è più immediata. Ci sono almeno 18mila bambini tra le vittime, secondo i dati di una Commissione indipendente delle Nazioni Unite. Le questioni del lavoro e del salario sono di minor comprensione immediata.
Eppure impattano di più sulla vita delle persone.
Infatti, dal mio punto di vista è strano. Ma quelle sulla Palestina sono state mobilitazioni anche trasversali, dal punto di vista generazionale e sociale. E poi non c’è una risposta immediata alla domanda sul perché i salari non crescono, mentre c’è su quello che bisognerebbe fare a Gaza: bloccare il genocidio.
È per questo che la gente non ha manifestato così per l’Ucraina?
Lì ci sono due eserciti che si fronteggiano e appoggi considerevoli da parte della comunità internazionale: cosa che non si è verificata nel caso della Palestina.
Quali sono le differenze delle mobilitazioni rispetto a quelle di paesi come la Germania, dove ci sono grandi comunità arabe?
In Germania le manifestazioni sono sistematicamente represse. Due giorni fa, mentre guardavo le immagini delle piazze italiane, contemporaneamente vedevo quelle della polizia a Berlino che manganellava i manifestanti proPal. Dipende dalla storia di questo paese che è un po’ paranoico rispetto al risorgere dell’antisemitismo.
Il pacifismo è una spinta importante?
Penso di sì. Questa generazione è diversa rispetto alle precedenti, nelle quali l’esaltazione della violenza era molto presente. La non violenza è una pratica che può essere anche molto efficace. Penso al valore simbolico dell’azione della Flotilla, che ha contribuito alla riuscita della manifestazione: alcune persone hanno messo a rischio la loro esistenza, nel nome di una causa.
Intravede una critica al capitalismo?
Ci sono frange che hanno una posizione critica rispetto al capitalismo ma la maggiorparte delle persone sono rivoltate dal fatto specifico.
È un’onda che può montare?
È troppo presto per capirlo. Non abbiamo elementi che la Palestina sia la miccia che può far partire un nuovo‘68. Sono comunque minoranze molto importanti, che introducono nuovi temi nella discussione. Ma sarebbe un errore metterci un cappello partitico: c’è stato il rigetto della politica del governo su Gaza, non il rigetto tout court. Ma c’è di certo il risveglio dall’apatia.









