Nuovo Cinema Meloni

(di Tommaso Ciriaco – repubblica.it) – Dice di aver subito qualcosa di inedito, mai accaduto sul pianeta. «Io, i ministri Tajani e Crosetto e l’amministratore delegato di Leonardo Roberto Cingolani — sostiene Giorgia Meloni a Porta a Porta — siamo stati denunciati alla Corte Penale Internazionale per concorso in genocidio. Credo non esista un altro caso al mondo e nella storia di una denuncia del genere». La presidente del Consiglio si riferisce a un esposto, preannunciato sul blog del Fatto quotidiano del dirigente dell’Istituto di studi giuridici internazionale del Cnr Fabio Marcelli, che prende spunto dalle azioni di Israele nei confronti del popolo palestinese, sostenendo che «chi fornisce le armi per un grave crimine nella piena consapevolezza che saranno adoperate a tale fine è indubbiamente imputabile per complicità nel crimine stesso». Ragionamenti infondati, secondo la leader: «L’Italia non ha autorizzato nuovi invii di armi a Israele dopo il 7 ottobre, siamo fra le nazioni europee che hanno avuto la posizione più rigida».

È uno dei passaggi più delicati del lungo intervento della premier. Un’intervista nella quale Meloni torna ad attaccare frontalmente la Cgil. La colpa? Aver organizzato quattro scioperi generali in tre anni, assai più che negli anni del centrosinistra: «Difendono più la sinistra che i lavoratori». Ma la premier se la prende soprattutto con il recentissimo corteo del sindacato, nelle ore caldissime dell’intervento israeliano sulla Flotilla, e con quello promosso dalle associazioni palestinesi. «Le violenze erano organizzate e preordinate, non da chi organizzava: sono un fenomeno un po’ più ampio. Uno degli striscioni inneggiava al terrore del 7 ottobre. Quando si consente a chi inneggia al terrorismo di Hamas di stare in testa al corteo, forse la tesi dei semplici infiltrati è un po’ riduttiva. Ma ho grande rispetto per le persone scese in piazza». Partendo da questa premessa, la presidente del Consiglio — dopo giorni in cui ha criticato aspramente gli attivisti e chi manifestava per loro — chiede che si abbassino i toni: «Temo che ci sia un clima che può peggiorare, se non richiamiamo tutti al senso responsabilità. E penso si stia sottovalutando da parte di chi ha pensato di fomentare la piazza. Attenzione, perché poi le cose sfuggono di mano». Anche perché, insiste tornando a parlare dell’assassinio di Charlie Kirk, anche in Italia si sta assistendo a una dinamica che allarma: «Lo vediamo quando impediscono alla gente di parlare all’università, o quando Francesca Albanese dice che un direttore di quotidiano che lei non condivide non deve essere invitato a parlare in tv».

L’intervento ordinato da Benjamin Netanyahu sulla Flotilla, d’altra parte, ha diviso il governo dalle opposizioni. «Sul tema del blocco navale — attacca — Conte e compagnia dicono che è illegittimo. Ma quel blocco c’è dal 2009, non se n’era accorto?». La replica del leader 5S è secca: «Lei non si è accorta che sono due anni che c’è un genocidio in corso a Gaza? E che i nostri connazionali sono stati sequestrati, detenuti illegalmente e trattati come criminali, senza una sua parola di condanna?». La situazione internazionale è, d’altra parte, incandescente. Per Meloni, la trattativa in Egitto tra Israele e Hamas è dunque un’ottima notizia: «Penso che il piano di pace di Trump apra più di uno spiraglio».

Per gli ultimi due anni di legislatura, Meloni progetta di sparigliare sul fronte interno, dopo lunghi mesi di stasi. Lo fa convinta di aver ottenuto indicazioni positive dalle regionali, il cui esito è per lei «molto importante: gli italiani capiscono quando si tenta di trattarli da scemi. Ad esempio, quando il giorno prima del voto si propone la sospensione al bollo auto per i calabresi». Riforme, dunque: questo è il progetto. A partire dalla modifica del sistema del voto. «Non sono contraria a una nuova legge — dice — Ne farei una che va bene con il premierato, quindi con l’indicazione dei candidati premier su scheda». Non è un dettaglio, perché potrebbe costringere il centrosinistra a decidere prima del voto chi è il candidato a Palazzo Chigi. Il resto sono appunti sparsi sugli altri dossier nazionali. Le banche? «Non ho intenti punitivi, sono un asset della nazione. Ma possiamo loro chiedere una mano». La riforma della giustizia? «Un’occasione storica. Spero che quando gli italiani voteranno ai referendum, lo faranno sul merito, perché non avranno conseguenze sul governo: finiremo il mandato e ci ripresenteremo alle Politiche». I dazi imposti dagli Stati Uniti sui prodotti italiani? «Spero che possano esserci dei margini, sulla media distanza, quando la situazione si sarà tranquillizzata». E la riforma fiscale? «Daremo un segnale al ceto medio. Significa parlare della fascia che arriva ai 50mila euro».

L’ultimo passaggio è dedicato al suo futuro. Le chiedono se abbia ambizioni personali per il Colle, come suggerito da Matteo Renzi. E lei risponde: «Il problema è che quelli che hanno passato tutta la vita a pensare a che incarico dovessero ricoprire, pensano che tutti siano come loro: io ragiono in modo diverso, sto facendo il presidente del Consiglio, le posso garantire che mi basta e mi avanza». Non tarda la replica del leader di Iv: «Da 19 anni siede alla Camera, parla di poltrone per non parlare di pressione fiscale e caro-vita».