dalla pagina FB di Francesco Febbraio
Interrompere la deriva burocratica e opportunistica che tradisce lo spirito del servizio.118.
Ho consumato quasi tutta la mia vita professionale nel servizio 118. L’ho visto nascere, crescere, faticare per conquistarsi rispetto e dignità. Era un servizio essenziale, puro nella sua missione: portare la vita dove la vita vacillava. Era l’ospedale che si muoveva verso il paziente, non l’opposto. Era concretezza, non burocrazia.
All’inizio mancava tutto: mezzi, strumenti, protocolli, perfino riconoscimento. Ma c’era una cosa che non mancava mai — la coscienza del ruolo. Sapevamo che ogni chiamata era un patto di fiducia tra chi chiedeva aiuto e chi rispondeva. Si lavorava con ciò che si aveva, ma si lavorava bene, con coraggio, umiltà e senso del dovere.
Oggi, invece, il 118 sembra diventato un palcoscenico. Un’arena dove si combatte non per la vita altrui, ma per una sedia in più. Si sgomita, si spinge, ci si accredita con la spavalderia di chi confonde la gestione del potere con la gestione dell’emergenza. È un triste spettacolo: le sirene suonano, ma molti non le sentono più.
Il servizio di emergenza-urgenza è stato snaturato. È diventato, per alcuni, una scorciatoia per la carriera, un trampolino per incarichi, un’occasione di visibilità. Ma chi ha scelto il 118 per fare carriera ha sbagliato mestiere. Qui si salva gente, non reputazioni. Qui si fa squadra, non si costruiscono feudi.
Il 118 non è nato per appagare ego. È nato per ridare battiti, non per distribuire gradi. E chi oggi gioca a fare il comandante senza aver mai respirato davvero l’odore del sangue e della paura sul campo, offende il sacrificio di chi ha fondato questo servizio con le proprie mani, con turni massacranti e stipendi ridicoli, ma con una dignità che oggi pare scomparsa.
La carriera è una scelta legittima, ma va cercata altrove. E chi non capisce questa differenza, non solo non merita il ruolo, ma non ha capito il mestiere. E fino a quando ci sarà anche solo una persona che lo ricorda, ci sarà speranza che questo servizio torni a essere quello che era: un patto con la vita, non un concorso di vanità.









