Calabria 2025. Occhiuto e il fallimento della sanità: i 18 ospedali chiusi e i 300 milioni alle altre regioni per la cura dei calabresi!

Il portale “Generazione” ha pubblicato una bella e approfondita inchiesta sulla Calabria di Occhiuto. Katia Sabbagh ha analizzato la strategia comunicativa di Occhiuto e ha passato in rassegna tutti i gravissimi problemi irrisolti della regione mettendo in modo spietato a confronto le cazzate e la realtà. Abbiamo suddiviso l’inchiesta in diverse parti, a iniziare dalla “strategia”. 

di Katia Sabbagh

Fonte: Generazione 

Le vicende politiche della Regione Calabria sono la sintesi della crisi amministrativa del paese Roberto Occhiuto ha fatto della guida della Regione Calabria un banco di prova per una comunicazione politica fortemente personalizzata, incentrata sul tema del “riscatto calabrese”. Dietro la forza delle parole e di un racconto ben costruito, però, si cela una realtà ben più complessa

Le dimissioni lampo di luglio 2025, a seguito di un’inchiesta per corruzione, e la contestuale ricandidatura segnano l’apice di una parabola in cui la potenza della narrazione ha sostituito il bilancio reale dell’azione di governo regionale.

SECONDA PARTE. LA SANITÀ CALABRESE E L’ETERNO COMMISSARIAMENTO

Il doppio ruolo di Occhiuto: presidente e commissario

Nel 2021, Roberto Occhiuto ha assunto un incarico senza precedenti: oltre alla presidenza della Regione, ha ottenuto anche la nomina a commissario ad acta per la sanità regionale. Questa concentrazione di poteri rappresentava un’opportunità storica per superare le disfunzioni di un sistema in cui si erano succeduti vari commissari senza mai ottenere risultati significativi. Tuttavia, a quasi quattro anni di distanza, la sanità calabrese rimane ancora commissariata e il tanto annunciato “cambio di rotta” si è rivelato più uno slogan che una reale trasformazione. Nel luglio 2025, lo stesso Occhiuto ha pubblicamente denunciato i ritardi nell’approvazione del nuovo Piano di rientro.

Al di là dei rimpalli di responsabilità tra istituzioni, la realtà è che la sanità calabrese continua a rappresentare il simbolo più evidente del fallimento amministrativo regionale e della disuguaglianza del sistema sanitario nazionale. Tra le scelte più controverse della gestione Occhiuto c’è stata l’adozione del cosiddetto “metodo AGENAS” – Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, un ente pubblico che monitora e valuta la qualità, l’efficienza e i risultati delle strutture sanitarie in Italia. Si basa su parametri standardizzati, derivanti dalle disposizioni del DM 70/2015, che – secondo Potere al Popolo Catanzaro – sottostima gravemente il reale fabbisogno di personale nelle strutture calabresi. In passato, il DM 70/2015 ha già avuto effetti negativi sul sistema sanitario nazionale, riducendo significativamente i posti letto e chiudendo molte strutture in tutto il Paese.

Secondo la Relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria delle Regioni e Province autonome, la spesa sanitaria calabrese rappresenta il 77,24% del bilancio complessivo regionale, a testimonianza di quanto la sanità sia al centro dell’azione amministrativa. Nonostante questo elevatissimo impegno finanziario, persistono gravi criticità nella qualità e nell’efficienza dei servizi erogati, come dimostrato dall’alto tasso di mobilità sanitaria passiva e dalle valutazioni sistematicamente insufficienti del Ministero della Salute sui Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

I LEA: una “pagella” insufficiente 

I LEA rappresentano l’insieme delle prestazioni e dei servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a garantire gratuitamente o con partecipazione alla spesa su tutto il territorio nazionale, senza distinzioni geografiche. Come spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, il punteggio LEA funziona sostanzialmente come una “pagella” che stabilisce quali Regioni vengono promosse (e quindi ammesse ai fondi premiali), e quali invece vengono bocciate per inadempienza.

Dal monitoraggio dei LEA 2023, realizzato dal Ministero della Salute attraverso gli indicatori core del Nuovo Sistema di Garanzia, la Calabria ha registrato un miglioramento in tutte le aree di assistenza sanitaria, pur restando sotto la soglia di adempienza. Un segnale positivo, ma che non cancella le criticità strutturali che ancora affliggono il sistema. Mentre l’assistenza ospedaliera e quella della prevenzione mostrano progressi lenti ma percettibili, il vero problema rimane l’assistenza distrettuale – ovvero i servizi socio-sanitari offerti direttamente sul territorio per rispondere ai bisogni quotidiani di benessere e salute. Qui, la Calabria totalizza appena 40 punti, ben sotto la soglia di sufficienza.

L’emergenza quotidiana della sanità calabrese

Dietro questi numeri tecnici, si nasconde una realtà fatta di carenze che si ripercuotono direttamente sulla vita e sulla salute dei cittadini calabresi. Costretti a scegliere tra il rinvio indefinito delle cure necessarie e il cosiddetto “viaggio della speranza” verso strutture del Centro-Nord, i calabresi vivono un’emergenza sanitaria costante.  Liste d’attesa per esami diagnostici e visite specialistiche lunghissime, screening oncologici (strumento fondamentale di prevenzione) insufficienti, tempi eccessivi nei soccorsi di emergenza e carenza di personale sanitario sono solo alcuni dei problemi quotidiani.

Secondo i dati ufficiali sulla mobilità sanitaria regionale, la Calabria ha speso più di 304 milioni di euro per garantire cure ai propri cittadini presso strutture sanitarie di altre regioni. Questi fondi potrebbero invece essere investiti per potenziare il sistema sanitario locale. La mobilità sanitaria passiva, che riguarda il 25,75% della popolazione calabrese secondo il Rapporto Osservasalute 2023, riflette una sfiducia profonda: più di 1 calabrese su 4 preferisce o è costretto a rivolgersi a strutture sanitarie di altre regioni per ricevere cure adeguate.

Articolo 32 della Costituzione: un diritto negato 

Per comprendere appieno la portata della crisi sanitaria calabrese, bisogna considerare il contesto nazionale. L’Italia è tra i Paesi europei che investono meno nella sanità pubblica: la spesa sanitaria pro capite è di circa 900 euro inferiore alla media dei Paesi OCSE europei, con conseguenze evidenti sulla qualità e sulla sostenibilità del sistema.

In questo scenario, l’autonomia differenziata promossa dal governo Meloni rischia di accentuare ulteriormente i divari territoriali già esistenti. Le regioni del Centro-Nord, già avvantaggiate da strutture sanitarie e capacità amministrative superiori, otterranno maggiori risorse, mentre il Sud vedrà inevitabilmente ridursi le possibilità di recupero competitivo. Il rischio concreto è la cristallizzazione definitiva delle disuguaglianze. La mobilità sanitaria passiva, già oggi insostenibile, rischia di trasformarsi in un esodo irreversibile.

Questa situazione nega un diritto costituzionale fondamentale: l’articolo 32 che tutela la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Quando un calabrese deve viaggiare centinaia di chilometri per cure, sostenendo costi aggiuntivi, e l’accesso alle cure diventa un privilegio legato alle disponibilità economiche, quell’articolo diventa lettera morta.

Una crisi sistemica con radici profonde

Infine, è importante ricordare che questa crisi non è recente né imputabile solo all’attuale amministrazione. È il risultato di decenni di politiche sanitarie miopi, tra tagli lineari e riforme punitive, che hanno normalizzato una disuguaglianza ormai strutturale. Un momento critico fu il piano di riorganizzazione ospedaliera del 2010, voluto dall’allora governatore Giuseppe Scopelliti, nelle fila di Forza Italia, con la chiusura di 18 ospedali regionali. Roberto Occhiuto, allora deputato UDC, sostenne pubblicamente quel piano, legittimando quella logica di smantellamento.

La situazione è stata aggravata dall’inerzia dei governi successivi, anche di centrosinistra, che non hanno invertito la tendenza. Nessuna amministrazione ha affrontato con decisione la desertificazione sanitaria delle aree interne né ha investito nella medicina territoriale o nel rinnovo di una rete ospedaliera fatiscente e sotto organico.

2 – (continua)