Regionali, Fouad El Gorch – Giovani Europeisti Verdi: “Voto “libero” in Calabria: un principio sempre più teorico”
Le elezioni regionali calabresi del 2025 hanno portato, con circa il 57% dei voti validi, la rielezione del governatore uscente Roberto Occhiuto, sostenuto dal centrodestra. Un risultato netto, senza ombre apparenti. Eppure, dietro la limpidezza dei numeri, si nasconde un quadro tutt’altro che rassicurante per la salute democratica della regione. In Calabria, il voto continua a essere, almeno sulla carta, “personale ed eguale, libero e segreto”, come recita l’articolo 48 della Costituzione. Ma nella realtà quotidiana, quella parola“libero” sembra la più fragile di tutte.
La libertà condizionata dal bisogno
In una terra dove la disoccupazione è cronica e le opportunità scarseggiano, la libertà di voto si misura spesso con la necessità di sopravvivere. L’elettore calabrese non sceglie solo un programma o un ideale politico: spesso sceglie tra la lealtà a un sistema di potere e la sicurezza economica. È difficile parlare di libertà quando un voto può significare la possibilità di conservare un impiego, ottenere una commessa o semplicemente non essere esclusi da quella rete di favori e piccoli privilegi che ancora regge gran parte dell’economia locale.
Clientelismo e padroni delle preferenze
Qui, il voto raramente è un atto individuale. È piuttosto un gesto inserito in una fitta trama di relazioni personali, di debiti di riconoscenza, di scambi impliciti. Il cosiddetto “voto di opinione” conta poco. A dominare sono i signori delle preferenze: candidati che conoscono per nome i propri elettori, che promettono vicinanza, assistenza, “una mano” quando serve. È un sistema antico, ma sorprendentemente adattabile ai tempi moderni. I social network e le micro-reti di potere locale hanno solo aggiornato le vecchie dinamiche, sostituendo la politica dei programmi con quella della convenienza.
Gli imprenditori del consenso
Non stupisce, allora, che tra gli eletti di entrambe le parti politiche figurino molti imprenditori, costruttori, esponenti di famiglie economicamente forti. In Calabria, il potere economico è spesso anche potere politico. Chi dà lavoro, chi muove appalti o controlla servizi, detiene inevitabilmente anche la chiave del consenso. E allora la domanda è inevitabile: può essere davvero “libero” il voto di chi dipende, direttamente o indirettamente, da chi governa o aspira a governare? Quando un elettore teme che un voto “sbagliato” possa costargli il posto, un contratto o una promessa, il principio costituzionale della libertà del voto si riduce a una scenografia della libertà.
La democrazia in affitto
Le elezioni calabresi del 2025 ci consegnano un paradosso: risultati limpidi nelle urne, ma ambiguo nella sostanza. Non ci sono brogli, non ci sono schede truccate – ma c’è qualcosa di più insidioso: la normalizzazione del voto condizionato, la rassegnazione collettiva a un sistema in cui la libertà diventa merce di scambio.
Finché la sopravvivenza economica sarà legata alla fedeltà politica, la Calabria non potrà dirsi pienamente democratica. Perché la democrazia non si misura nei numeri, ma nella coscienza libera di chi mette la scheda nell’urna.
A pagare sono sempre i giovani I veri sconfitti, in questo meccanismo perverso, sono i giovani. Crescono in una terra dove il merito conta meno della fedeltà, dove il lavoro non si conquista ma si deve, e dove il voto non è un diritto da esercitare, ma un debito da saldare.
Ogni volta che un voto viene barattato per un favore, un posto o una promessa, si ruba un pezzo di futuro a chi non ha ancora avuto il tempo di costruirselo. La libertà negata agli elettori di oggi diventa la rassegnazione dei cittadini di domani. E finché il voto non tornerà davvero libero, la Calabria continuerà a perdere la sua parte migliore: i suoi giovani, la sua speranza, il suo domani.
Fouad El Gorch Co-portavoce GEV Calabria









