di Rocco Tripodi
Quanti rimpianti tra i cittadini vibonesi per quel tradizionale e fastidioso scampanellio mattutino proveniente dalle chiese, oggi sostituito dal macinaviscere, meccanico, puzzolente e assordante delle motoseghe impiegate nell’azzeramento di qualunque forma di vita arborea nella città e fuori. Ieri è toccato a due pini giganteschi in via Dante Alighieri. E (forse come monito) come se non bastasse, ci hanno dato che ci hanno dato, con botte di vigorose sforbiciate sugli ultimi sparuti e spaventati rami degli ultimi pini ancora non giustiziati. Sì, perché è ormai invalsa…l’abitudine?, la cultura?, una misteriosa, ingiustificata tendenza mondiale a spogliare, sfrondare, scucuzzare gli alberi senza misericordia. Se per l’assessore all’ambiente MICELI questo crudele accanimento sugli alberi superstiti lo si può ricondurre ad una insana personale voglia di ritorsione verso i suoi concittadini che non lo hanno votato alle Regionali, commentiamo con un crudele: POVERICCHIU! Molto più interessante sarebbe invece sapere cosa muova il sindacoAGGARBATUNI che dell’abbattimento degli alberi ne ha fatto un elemento identificativo del suo mandato, tanto che scherzosamente viene ormai chiamato la “Sega più veloce del West”. Sì, però, catinazzo! Sta di fatto che i cittadini hanno eletto un sindaco e si sono ritrovati una sorta di Salumiere bolognese che taglia alberi con la stessa attitudine e trasporto, come se fossero mortadelle; e poi ‘ste fette non si sa bene chi vanno a sfamare.
Ci si dimentica che la funzione, in natura, degli alberi, non è solo quella di assicurare ombra, ristoro, riferimento per i cani su dove fare la pipí o tragico dissuasore per automobilisti dalla guida vivace, ma anche un’altra, vitale per la continuità della specie: essi producono ossigeno, assorbono anidride carbonica, purificano aria e acqua, mitigano il clima e tanto, tanto altro ancora. Lo sa? Non lo sa? Il sindaco, dico. Lui si giustifica sempre assicurando che quello che fa gli è sempre suggerito da un bravo agronomo. Bene mi permetta, molto umilmente di esprimere una mia convinzione: vista la sua pervicace ossessione, direi patologica, per gli alberi cittadini, più che da un BRAVO agronomo le sue scelte le sottoponga meglio ad uno psicoterapeuta BRAVO. Magari si tratta di una semplice deformazione professionale (anche se qualche turbe la sottintende), per cui, lei dentista, tratta gli alberi come fossero denti cariati da estrarre.
Ma per ogni disturbo c’è un’origine e una terapia. Nella lontana fanciullezza, parlo degli anni ’60, siamo stati accomunati, lei ed io, da una esperienza, vissuta però separatamente perché lei più giovane di me di qualche anno. Quella con gli Scout. Io, quando ci si vestiva ancora con gli abiti militari che i genitori conservavano dal servizio militare o perché, come nel mio caso, militari lo erano ancora. A 17 anni andai via perché espulso. La prima volta (il ’68 era alle porte) perché assieme ad altri quattro esploratori abbiamo occupato la sede enorme (la chiesa dello Spirito Santo sconsacrata) assegnata ai Rover (i capi), mentre noi che eravamo molti di più dovevamo svolgere tutte le nostre attività in una stanzetta della sacrestia. Qualche rover si becco’ uno schiaffo e fummo espulsi. Fui condonato. Qualche mese dopo, disobeddii ad un ordine ingiusto, ma “in quanto ORDINE andava comunque eseguito (così mi fu detto)”. Mi rifiutai e fui espulso ancora. Ripreso, posi come condizione la creazione di una mia nuova squadriglia; accettarono ma cassarono il nome che io avevo scelto: PASSERE SCOPAIOLE. Lì fini il nostro rapporto. Per la cronaca: uno dei tre episodi è inventato. L’AGGARBATUNI, Capo scout di lungo corso, lo è tuttora. Dovrebbe, a mio modesto parere, indagare, con il supporto del professionista bravo di cui si è detto, quali possibili traumi abbiano potuto condizionare il suo rapporto, negli anni, con quei contesti ambientali verso i quali le organizzazioni scautistiche esercitano come spirito e come statuto un ruolo storico di tutela e promozione.
Ci lavori su questo mio modesto contributo. Certo bisognerà affrontare un percorso non facile, ma si faccia aiutare. Cambi abitudini. Rinunci, per esempio, a riempire il presepe di alberelli, per poi la sera di Natale in processione, armati di seghini, allo scadere della mezzanotte, abbatterli tra lacrime, canti e lodi al Signore. Si concentri di più su chi, per esempio, dichiarandosi suo fedele sostenitore, gli è concesso di posizionarsi stanzialmente alle sue spalle, maneggiando coltelli e rasoi, accreditandosi come arrotinoaffilaforbici. Cerchi di superare qualche possibile trauma infantile causato forse da qualche maestro insensibile e inadeguato che magari, per antipatia o per delle naturali comprensibili sue distrazioni, la apostrofafa impropriamente con l’appellativo di “Testa di Legno”.
Questo ed altro è possibile superare… ma lei, senta a me, licenzi l’agronomo. Interrompa questo stillicidio quotidiano su quel poco che resta ancora della ricchezza arborea che caratterizzava la città. Siamo in tanti ad essere allarmati da questa sequenza pianificata di offese irreparabili al patrimonio cittadino. Anche perché s’intravede quasi un atteggiamento persecutorio nei confronti dei cittadini inascoltati, derisi, e truffati per le promesse non mantenute e più che mai allarmati perché, il giorno in cui le Legioni di Patrioti Padani dovessero arrivare alle porte della città, lei stesso, Primo cittadino, su quale albero farebbe salire una PICCOLA VEDETTA CALABRESE, dall’alto del quale comunicarci i movimenti dell’invasore?…Dall’alto di ‘sta persica? Non ci conti! P.S. Non è sufficiente salire sulle spalle di VITO PITARO.










