Non è un romanzo, non è giornalismo d’appendice. È la realtà amara di una regione in cui morire diventa routine, e chiedere verità diventa atto di coraggio. Qualcuno, anche ultimamente, ci ha avvisato: “Ma perché parlarne ancora? Tanto ormai…” . Possiamo capire la domanda, che è anche lecita. Ma quel “tanto ormai…” non ci va proprio giù. Che vorrebbe significare ‘sto “tanto ormai”? Forse che è inutile parlarne, tanto non si saprà mai la verità? Forse un avvertimento per proteggere qualcuno? Non lo sappiamo… ma se anche fosse ce ne freghiamo. Perché gli unici a dirci di lasciar perdere dovrebbero essere la moglie e i figli di Serafino Congi o la mamma e il papà di Carlotta La Croce, non altri.
Eh si, parliamo ancora di Serafino Congi, 48 anni, morto il 4 gennaio 2025 in ambulanza dopo ore d’attesa. E parliamo anche della piccola Carlotta La Croce, 12 anni, morta il 26 luglio 2025, dopo due ore d’attesa per un trasferimento urgente. Due casi, distanti pochi mesi, emblemi di un sistema che fa morire prima e indaga dopo — o fa finta di indagare.
Serafino: commissione interna dell’ASP di Cosenza istituita, atti trasmessi alla Procura.
Carlotta: chiamata all’ambulanza tardiva, trasferimento negato o filtrato dalla burocrazia, denuncia di negligenza.
Eppure: silenzio. Lo “stato dell’indagine” non viene reso pubblico. Nessuna trasparenza. Nessuna spiegazione plausibile.
SE C’È TUTTO, PERCHÉ LE PROCURE DORMONO?
La legge non lascia spazio a interpretazioni. L’art. 407 del Codice di Procedura Penale stabilisce che le indagini preliminari non possono superare i 18 mesi, salvo casi complessi o gravi, dove il limite sale a 2 anni, ma solo se la proroga è motivata. Beninteso, nessuno dei due casi ha superato i 18 mesi, né tanto meno i due anni. Ma… qui parliamo di un caso che, secondo quanto è trapelato, ha già: acquisizione atti, cartella clinica sequestrata, inchiesta interna ASP già conclusa e inviata, registrazioni tra la centrale operativa e i vari operatori coinvolti. Quindi la complessità dove dovrebbe essere? Dov’è il bisogno di “prendere tempo”? La verità è che non risulta pubblicamente alcun atto che giustifichi un rallentamento: nessuna comunicazione su proroghe, nessun avviso di conclusione indagini, nessuna informazione trasparente alla famiglia o all’opinione pubblica
E qui nasce il sospetto — legittimo, fondato, documentabile — che si stia tentando di comprare tempo, di far raffreddare l’attenzione e, nel peggiore dei casi, di proteggere qualcuno.
LA POLITICA PER SMUOVERE LE ACQUE
La questione è talmente grave che è arrivata perfino in Parlamento: esiste un atto ufficiale, l’Interrogazione parlamentare n. 4-02111 al Senato, che CHIEDE chiarimenti sulla vicenda. E quando la politica deve chiedere conto alla Procura e alla ASP su come stanno gestendo una morte, vuol dire che qualcosa non torna.
IL DUMP EMOTIVO DELL’OPINIONE PUBBLICA
Quando la gente vede ambulanze ferme, dialettiche politiche che sfruttano la tragedia e procure che sembrano uffici postali, perde fiducia.
Quando una bambina muore perché “si doveva aspettare il mezzo di Maida” (che ha impiegato due ore per coprire un tragitto – da Maida a Soverato – di soli 45 minuti, per di più in “codice rosso” e qualcuno vuol pure far credere sia normale), invece di fare partire subito anche un’ambulanza privata (genitori pronti a pagare), una lambretta, un mulo — come nel caso Carlotta — la rabbia non è solo legittima, è giusta.
Due casi che ci fanno capire che non si tratta solo di sanità, ma di potere Questo duo di morti non può essere visto come due fatalità: sono simboli. Simboli di un sistema rotto che nasconde, che ritarda, che ritualizza la morte come costo accettabile. E le procure, quelle che dovrebbero essere “braccio forte dello Stato”, diventano “braccio formato dallo Stato per non fare un cazzo”.
Nel caso di Serafino, la “Procura di Cosenza” resta nella nebbia. Nel caso Carlotta, la “Procura di Catanzaro” apre, sì — ma non chiude. Entrambe non comunicano, non spiegano.
IN PRECEDENZA, SIA NOI CHE LE FAMIGLIE E L’OPINIONE PUBBLICA AVEVAMO CHIESTO:
1. Pubblicazione immediata degli esiti dell’indagine interna dell’ASP di Cosenza sul caso Serafino.
2. Pubblico accesso alle registrazioni delle chiamate 112/118, delle centrali operative, dei mezzi inviati — per entrambi i casi.
3. Aggiornamenti trasparenti dalle procure competenti: fascicolo numero, stato procedurale, motivazioni di eventuali proroghe (se ci sono). Tutto però è rimasto fermo. Mute le Procure, muta l’Asp, mute le Centrali Operative.
Continuiamo comunque a credere nella Giustizia e nella buona fede di chi l’amministra!
IN CALABRIA L’OMERTÀ NON LA INSEGNA LA ‘NDRANGHETA… LA INSEGNA IL SISTEMA SANITARIO
Ed è proprio questo mutismo collettivo, questo silenzio tossico da convento di clausura sotto estorsione, a far capire che la puzza di bruciato non solo c’è… ma ha già fatto prendere fuoco al tappeto. E allora, visto che in Calabria se aspetti le “fonti ufficiali” fai in tempo a crepare in sala d’attesa, abbiamo sguinzagliato alcuni nostri cronisti – sì, quelli che ancora hanno la spina dorsale – a fare domande in giro. Domande semplici, innocue… roba che in un Paese normale ti rispondono pure mentre prendono un caffè.
Risultato? Gente che, solo a sentir nominare l’argomento, diventava verde: “Bah… lasciamo stare…” con la faccia di chi ha visto Satana mentre si faceva una TAC. Come a dire: “Non farmi parlare, ho famiglia”. Altri invece, più “informati dei fatti”, ci hanno detto chiaro e tondo che è inutile indagare perché – udite udite – gira una circolare interna al sistema Emergenza-Urgenza 118 che vieta tassativamente di parlare, raccontare, mostrare, fotografare, filmare, fiatare, starnutire, piritiàre o anche solo pensare a episodi di servizio.
Il messaggio è uno: “Zitti o vi facciamo neri: sanzioni, sospensioni o peggio”. Manco la CIA, manco nei reparti operativi antimafia: qui parliamo di ambulanze, non di segreti di Stato.
E mentre questi soldatini del silenzio stanno lì a tremare per la poltroncina o per la ricarica a 20 ore al mese, Serafino e Carlotta sono già morti. Morti non per sfortuna, ma per un sistema che prima ti abbandona e poi imbavaglia chi potrebbe impedirlo. E noi gliel’abbiamo pure ricordato. Quello che è successo a Serafino ieri e a Carlotta l’altro ieri può succedere a tua madre, ai tuoi figli, ai tuoi amici. Ma niente: in Calabria molti preferiscono l’omertà d’ordinanza. Questa è la misura esatta del degrado in cui ci hanno ridotti. E allora… benvenuti nella regione dove l’omertà non la insegna la ‘ndrangheta… la insegna il Sistema Sanitario.
Se la verità è già “a portata di mano” allora il silenzio non è innocente. È complice. È scegliere la morte evitabile, è proteggere un sistema che conviene così com’è, è l’ennesima volta che “in Calabria” qualcuno muore e il sistema fa finta di niente.
Quello che è successo a Serafino ieri e a Carlotta l’altro ieri può succedere a tua madre, ai tuoi figli, ai tuoi amici. Ma niente: in Calabria molti preferiscono l’omertà d’ordinanza. Questa è la misura esatta del degrado in cui ci hanno ridotti. E allora… benvenuti nella regione dove l’omertà non la insegna la ‘ndrangheta… la insegna il Sistema Sanitario.









