Il limbo degli espropriandi: “Balletto osceno, ma non ci faremo togliere la casa dal governo”
“Siamo spaventati, ma non staremo fermi a subire”. Manuela Majorana lo dice inclinando la testa per agganciare meglio lo sguardo dell’interlocutore: “Ho comprato casa qui nel 2019. Ho fatto un mutuo trentennale e speso 10 mila euro per i lavori. Poi però dal 31 luglio la nostra vita è cambiata, abbiamo scoperto di essere sotto esproprio da un giornale online”, spiega. E scuote la testa: “Non è, come dice qualcuno, un edificio di recente costruzione: è stato fatto a inizio anni 70, nessuno sapeva che questa zona potesse essere oggetto di esproprio”.
La casa di cui è diventata proprietaria nel 2019 si trova a Contesse, nella zona sud di Messina, considerata popolare: “Una zona sacrificabile, questo è: un concetto che molti di noi hanno perfino fatto proprio”.
È un’area molto distante dal ponte, dove però sono previste opere connesse come il collegamento ferroviario, un appalto di Rfi, separato dal resto. Per questo potrebbe partire a dispetto delle sorti del progetto della grande opera: “È esattamente quel che temiamo, ma mi creda, per il governo è stato un boomerang, perlomeno in questo territorio, qui erano praticamente tutti di destra e ora sono sdegnati”.
Poco dopo la notizia dell ’esproprio di 11 palazzine nel quartiere a sud della città, eravamo andati lì per parlare con loro. Molti degli espropriandi si erano riuniti nell ’androne di uno di questi edifici, a ridosso della linea ferroviaria, pareva una riunione carbonara: “Da allora siamo diventati una comunità e stanno nascendo dei progetti di riqualificazione urbana, anche grazie alla collaborazione di una docente di Architettura dell’Università di Catania. Stiamo facendo rete, sta nascendo qualcosa di nuovo. Son è come dicono alcuni: siamo a favore del progresso ma dev’essere partecipato e trasparente, non opaco”.
Dall ’altro lato della città, a una trentina di km, la combattività è la stessa: “Lotteremo senza tregua”, dice Eros Giardina. Lui e la moglie vivono a Granatari, una collina che si affaccia esattamente dove vorrebbero costruire il ponte: “Ho 75 anni, dove ce ne andiamo se ci mandano via da qui? È l’unica casa che abbiamo”, sospira. “Siamo arrabbiatissimi e siamo sfiniti, ha idea da quanto tempo viviamo con l’angoscia di perdere casa? Ora sì, ora no: con il governo Monti avevamo respirato. Pareva che quest’incubo fosse finito. Invece da più di due anni siamo ripiombati nell’angoscia ”.
Giardina vive nella collinetta di Granatari dal 2003, nel 2004 è nato il loro figlio: “Siamo affezionati a questa casa, non c’è niente nella vita di più caro della casa in cui si vive: dove dovremmo andare? Ma ci sono i comitati e ci sono i nostri avvocati: lotteremo sempre”. Nella frazione poco sotto Granatari, nella zona di pescatori, ormai turistica, di Torre Faro, è stata aperta l’unica sede ufficiale di un comitato contro l’opera, il “No Ponte Capo Peloro”. Lì vanno in tanti, compresi i coniugi Giardina: “Sono tutti angosciati e arrabbiati come noi. Siamo tanti e non ci daremo mai per vinti”. In tutto gli espropri dovrebbero essere 450, in larga parte prime case, di cui 300 sul lato siciliano (più gli undici condomini di Contesse).









