Lo abbiamo sempre detto: gli Occhiuto sono degli ossi duri, abituati a vendere cara la pelle. La loro carriera politica — si fa per dire — è costellata di faide, coltellate alle spalle, infamità, raggiri, vendette, alleanze di comodo e tradimenti. E, in un modo o nell’altro, sono sempre riusciti ad affrontare le situazioni cavandosela egregiamente. Sanno come muoversi nei casini, grandi o piccoli che siano. La scontata vittoria elettorale non ha certo messo fine alla faida tutta interna al centrodestra, e Robertino — che di vendette se ne intende — sta giocando fino in fondo la sua partita. E lo fa con lo “stile paraculo” di sempre: promettere e non mantenere, stringere accordi per poi sistematicamente disattenderli. E non si capisce, vista la notorietà di queste sue “qualità”, come facciano ancora i suoi alleati a cascarci ogni volta.
Occhiuto sa che rischia ancora molto, e che la sua permanenza sulla poltrona di presidente potrebbe durare poco se il piano del fuoco amico dovesse andare in porto. L’intervento della Procura, con l’avvicinarsi della chiusura delle indagini sul primo filone dell’inchiesta sui traffici di Robertino, si fa sempre più concreto. L’unica carta che può giocare è fare pressione sulla Procura di Catanzaro e mettere a tacere Curcio — che, come Occhiuto sa bene, si è mosso solo dopo aver ricevuto l’ok del governo. Per arrivare a questo, però, serve una telefonata da Roma: una voce autorevole che dica a Curcio di fermare tutto. E per ottenerla, Robertino deve mettere in difficoltà il governo, costringere la Meloni a intervenire — cosa che lei, almeno per ora, non ha alcuna intenzione di fare. Da qui la strategia: trovare un alleato di governo disposto a fare pressione — o addirittura a ricattare — la Meloni; il partner più comodo sarebbe Salvini, con cui i rapporti sono già tesi e quindi facilmente sfruttabili. Se le pressioni arrivano dalla Lega, magari sostenute dai suoi accoliti di Forza Italia, il risultato si potrebbe ottenere. Così Occhiuto comincia a lavorarsi la Lega, con la quale ha stretto una sorta di patto di non belligeranza in vista delle elezioni regionali. Lo scopo è chiaro: ridimensionare Fratelli d’Italia. Il suo obiettivo è trasformare la Calabria in una roccaforte personale, capace di determinare equilibri anche a livello nazionale.
Ma le elezioni regionali non vanno come previsto: la Lega arretra, e Fratelli d’Italia mantiene le posizioni. Robertino, quindi, non può ancora spacciare la Calabria come suo feudo, e il fuoco amico ha ancora diverse cartucce. Ha dimostrato di avere voti, ma non abbastanza da poter fare pressione.
E allora cambia schema: rompe il patto con la Lega e stringe una tregua armata con Ciccio Cannizzaro. Un accordo che conviene a entrambi: conquistare Reggio Calabria e, con essa, il controllo dell’intera regione. Cannizzaro, da tempo, lavora ai fianchi Scopelliti, con il quale ha già stretto un patto, mentre Occhiuto si prepara a controllare il territorio attraverso deleghe e fondi regionali. L’obiettivo comune è sottrarre voti alla Lega e creare seri problemi anche alle prossime politiche, impedendole di conquistare seggi al proporzionale. In questo modo potrebbero addirittura fare doppio colpo: ridimensionare la Lega e indebolire anche Fratelli d’Italia, proprio nella sua roccaforte calabrese. Una situazione che fa paura alla Lega, che intravede il rischio di essere stritolata tra gli interessi di Forza Italia e l’indifferenza di Fratelli d’Italia. Per questo, pur di salvarsi, il Carroccio potrebbe scegliere la via più cinica: schierarsi ancora una volta con Occhiuto e perorare la sua causa a Roma, chiedendo alla Meloni di intervenire sulla Procura di Catanzaro in cambio della propria sopravvivenza politica in Calabria. Un classico degli Occhiuto: allearsi con chi gli conviene, e ricattare chi non ci sta.
Se la mossa riuscirà, Reggio Calabria diventerà la chiave del nuovo equilibrio nel centrodestra: un laboratorio dove Forza Italia potrà dettare la linea, Cannizzaro controllare i flussi e Occhiuto blindare la propria sopravvivenza politica. Perché dietro le manovre “politiche” c’è molto di più: il tentativo disperato di condizionare la magistratura. Che da queste parte non ci vuole poi molto. Robertino lo sa bene: l’inchiesta della Dda di Catanzaro avanza, e l’unico modo per fermarla è costruire un fronte politico che arrivi fino a Roma. Non potendo farlo da solo, prova a usare la Lega come cavallo di Troia: se Salvini — per salvare i suoi uomini in Calabria — si espone, le pressioni sul governo diventano possibili. E da lì può partire quella telefonata a Curcio, quella che dovrebbe “fermare tutto”. Ma in queste ultime ore Salvini, dopo la mazzata della bocciatura del Ponte, rischia soprattutto… il suo deretano e di conseguenza non starà certo a pensare a Robertino e ai suoi casini: gli bastano decisamente i suoi.
Indipendentemente dal fatto che l’ennesimo tentativo di Occhiuto vada in porto o si riveli l’ennesimo bluff, il problema resta sempre lo stesso: in Calabria la magistratura non è indipendente, ma piegata — oggi come ieri — al volere del potere politico di turno.
E sarà proprio qui che si misurerà la vera “autonomia” dei magistrati. Vedremo se la Procura di Catanzaro avrà il coraggio di fare il suo mestiere o se, come troppe volte è accaduto, finirà anche questa volta per inchinarsi ai suoi padroni di governo… a proposito di autonomia.









