di Attilio Bolzoni
Fonte: Domani
Sono capi tribù, i capi di una sola grande famiglia politica che regna in Sicilia dal1992, da quando hanno messo le bombe. Hanno conquistato il potere e non se ne sono mai più andati.
La Sicilia, da oltre trent’anni, ce l’hanno avuta sempre in pugno. Uno, Totò Cuffaro, comandava anche dal carcere. L’altro, Saverio Romano, è sempre stato la sua ombra. Spesso li abbiamo raccontati per le apparenti pubbliche fortune o sfortune seguendo le curve delle loro disavventure giudiziarie, abbiamo commesso un grave errore perché sono rimasti comunque sempre lì, sono diventati immortali. La Sicilia è il loro cortile di casa. Rastrellano migliaia di voti, piazzano clienti dappertutto, decidono i destini di una regione e, nel caso di Cuffaro, decidono anche chi deve fare il sindaco di Palermo o il governatore dell’isola.
A Palermo e in Sicilia è ancora e sempre Prima Repubblica, il tempo non passa.
Al di là delle condanne o delle assoluzioni o dei proscioglimenti, entrambi hanno avuto comunque contatti più o meno intensi con ambienti di mafia e naturalmente si dichiarano fortemente contro la mafia. In questi ultimi dieci anni si sono scoperti più forti. Cambiano i governatori della Sicilia, destra o sinistra, ma loro sono sempre dietro. Con un assessore, un presidente di commissione, l’amministratore di una partecipata, con il direttore della società che gestisce gli aeroporti o il credito per le imprese o l’agenzia dei rifiuti. È una struttura di potere radicata sulla quale si innestano sistemi e cordate politiche ed economiche utili alla sua sopravvivenza.
Hanno fatto una vita insieme. Nei primi anni Ottanta Totò Cuffaro era già segretario siciliano dei giovani democristiani, come vice aveva l’amico Saverio Romano. Il primo è originario di Raffadali, paese dell’agrigentino circondato dalle “fastuche”, i boschi di pistacchio. Il secondo è di Belmonte Mezzagno, comune palermitano che domina le ultime gole di quella che fu la Conca d’Oro.
Quando Cuffaro nel 2011 entra in carcere per favoreggiamento alla mafia (sconterà quattro anni e undici mesi di reclusione),Romano neanche un mese dopo diventa ministro nel quarto governo Berlusconi. E’ una coppia perfetta. Con Totò che comanda sempre. Prima del carcere, dopo il carcere e per alcuni anche quando è in carcere. Fuori dalla sua cella, c’è la fila. Lo vanno a trovare in quarantuno, sottosegretari, ex ministri, deputati, assessori, funzionari regionali, cugini e un po’ di vecchi amici spacciati come «assistenti parlamentari». È la corte di Cuffaro ricevuta in forma ufficiale a Rebibbia.
Una mappa svela il potere che dal 2011, quando nel mese di febbraio entra in un penitenziario, riesce a mantenere quasi intatto fino a oggi. Da quando è stato messo sotto accusa per mafia, non c’è governo regionale dove non ci siano collocati nei posti chiave i suoi uomini più fedeli.
In quello di centrodestra guidato da Raffale Lombardo dal 2008al 2012, Cuffaro ha due assessori. Nel governo successivo, quello di centrosinistra di Rosario Crocetta dal 2012 al 2017, ne ha altri due. Fra il 2017 e il 2022, nel governo di centrodestra di Nello Musumeci entra una folta truppa di assessori regionali vicinissimi a Cuffaro e a Raffaele Lombardo, posizionati ufficialmente in diversi partiti, Udc, Mpa, Forza Italia, Cantiere popolare.
Nel 2022 Cuffaro presenta la lista della nuova Democrazia cristiana alle elezioni regionali a sostegno di Renato Schifani e piazza in regione due deputati e due assessori.
L’ultima volta che ho visto Totò Cuffaro è stato esattamente dieci anni fa, nel 2015, all’alba di un giorno di dicembre quando lui dopo “1.768” giorni (numero che è anche il titolo del documentario che parla della sua odissea carceraria) esce da Rebibbia e trova me e il collega Emanuele Lauria ad aspettarlo. Ci dice: «La politica attiva è un ricordo bellissimo che non farà mai più parte della mia nuova vita. Ora ho altre priorità. Ho amato la politica e non rinnego nulla di ciò che ho fatto, non mi sento tradito». Dopo un paio di anni raduna il suo popolo nel centro di Palermo e fonda la nuova Democrazia Cristiana. Cuffaro torna Cuffaro. È un bagno di folla.
L’ultima volta che l’ho sentito è stato nel giugno scorso. Dopo che mi ha tolto il saluto per anni mi ha scritto un messaggio: voleva venire alla presentazione di un mio libro. Oggi, forse, capisco anche perché.









