Giorgia Meloni e l’insostenibile strategia dell’insulto

di Micaela Bongi

Fonte: il manifesto

Essendo entrata per la prima volta in parlamento all’età di 29 anni, ormai 19 anni fa, Giorgia Meloni si sarà presto stufata di dover ascoltare la solita polemica anti-casta contro deputati e senatori che il giovedì si presentano al lavoro con il trolley e dopo pranzo già partono per il week-end.

A tal punto tanta demagogia deve averla esasperata che, una volta diventata presidente del consiglio, la leader di Fratelli d’Italia ha deciso di sfruttare la sua autorevole posizione per chiarire una volta per tutte chi è che rappresenta la vera casta: i sindacati. Quelli che – in particolare la Cgil di Maurizio Landini – proclamato furbescamente uno sciopero di venerdì accampando qualche incredibile scusa e dando la colpa al governo, permettono a migliaia e migliaia di operai, impiegati pubblici e privati, insegnanti, operatori sanitari e lavoratori di tanti altri floridi settori di prendersi un bel fine settimana lungo per andarsene a zonzo o starsene a casa a oziare.

L’offensiva della premier è incessante: ha deciso di trasformare il venerdì – giorno della settimana in cui cadrà anche lo sciopero generale del 12 dicembre proclamato dalla Cgil contro la manovra – nell’arma con cui stroncare il sindacato, cercando di delegittimarne la funzione di rappresentanza del mondo del lavoro dipingendolo di fatto come il paravento di nullafacenti e parassiti. E ci sarebbe anche da ridere se la situazione non fosse così seria e grave, per certi aspetti drammatica.

È vero che altri capi di governo prima di Meloni (e anche di centrosinistra) si sono in passato mostrati insofferenti nei confronti della Cgil e hanno ingaggiato con i segretari generali di turno anche epici scontri. Ma i ripetuti attacchi sprezzanti della premier contro gli scioperi non solo confermano una concezione autoritaria del potere che non contempla il libero esercizio democratico dell’opposizione politica o sociale (opposizioni che, sebbene attualmente poco incisive, vengono descritte alternativamente o come violente al limite del terrorismo o come menefreghiste e anti-italiane). L’attacco è tanto più odioso e volgare perché scagliato contro lavoratori che scioperando rinunciano a un giorno di stipendio anche se con i loro stipendi e salari già stentano a campare. E sono quegli stessi lavoratori che la legge di bilancio in via di approvazione tratta peggio di sudditi affamati: non si potranno permettere nemmeno una brioche in più.

Eppure di fronte a una premier costantemente all’offensiva, l’occupazione principale dell’opposizione, in vista delle elezioni 2027, è quella di costruire ostacoli, piantare paletti e piazzare trappole dentro il suo stesso campo. E intanto tra i sindacati, quelli che intendono battere un colpo (forse persino tardivo) sulla manovra e tenere viva la grande mobilitazione dello scorso ottobre, è in corso una insensata guerricciola di visibilità che al momento sembra non consentire uno sciopero unitario. È anche su queste baruffe che il governo Meloni, nonostante tutto, ancora prospera.